A 4 anni dal precedente disco, i Kooks tornano con il un nuovo album e mettono in chiaro l'obbiettivo fin da subito: provare a portare un po' di luce in un momento storico esattamente non felicissimo. 10 Tracks to Echo in the Dark è nato dal periodo vissuto dal frontman Luke Pritchard a Berlino, da sempre meta prediletta di artisti inglesi e americani in cerca di ispirazione. Proprio lì è nato il sodalizio con il produttore tedesco Tobias Kuhn, e con il resto della band bloccata in Inghilterra per via della pandemia, l'album ha iniziato a prendere forma. Una virata abbastanza deciso rispetto a quanto fatto finora dalla band: lo sguardo è verso sonorità sci-fi e synth-pop anni '80, influenzati da band come Talking Heads, Tears For Fears, Cure e Talk Talk come ci confermerà poco dopo il chitarrista Hugh Harris.
Lo abbiamo raggiunto in video per farci una chiacchierata sulla nuova direzione della band, una visione più politica (ma non politicizzata), vecchi screzi con gli Arctic Monkeys, il rapporto stretto con i Milky Chance e tanto altro ancora.
10 Tracks to Echo in the Dark è un album molto “europeo”. Da dove siete partiti?
È iniziato tutto dal nostro produttore Tobias Kuhn, che di base è un berlinese che condivide con noi la stessa passione per un sacco di roba indie-elettro anni ’80 piena di energia, ma allo stesso tempo di sensibilità pop. Così Luke ha iniziato a scrivere e c'è stata una sessione di scrittura tra lui e Tobias ed è andata molto bene. Hanno trovato una connessione ed è sembrata subito la direzione giusta dal punto di vista sonoro per i Kooks, perché era senza fronzoli ed era diretta, molto più diretta di tutti i nostri album precedenti. Credo che non fosse grezza, ma con elementi semplici, elementari, come il vento, il fuoco... Non era complessa e non era troppo pensata. Anche se la nostra musica di riferimento è quella dei Talking Heads, dei Talk Talk, del pop chitarristico degli anni '80, era più diretta, come un sentimento, un'emozione diretta e così abbiamo deciso di continuare in quella direzione. Quello che ne è venuto fuori è stato questo tipo di suono decostruito, come se si potesse vedere tutto. Non c'è nulla di troppo incorporato nella produzione: è visibile, una specie di Bauhaus leggero, come quei tipi di movimenti brutalisti che riguardano solo la struttura, la struttura concreta, o la struttura della canzone, o una struttura melodica. È sembrato fresco per la nostra band ed è stato molto eccitante celebrare anche l'Europa in quel periodo.
Siete riusciti a trasferirvi tutti a Berlino per registrare l’album?
Non ce l'abbiamo fatta (ride, ndr). Siamo stati bloccati dalla pandemia, ma siamo stati ispirati tutti dalla città. Abbiamo trascorso molto tempo lì in passato, cioè ho trascorso molto tempo in Germania, parlo un po' di tedesco, abbiamo amici a Berlino e ci divertiamo sempre molto lì. Purtroppo a causa della pandemia abbiamo dovuto cancellare i nostri voli. Ma Luke ha registrato con Tobias lì la maggior parte dei singoli, e poi abbiamo finito il lavoro tramite un collegamento Zoom da Londra a Berlino. Il tema della connessione e dell'essere vicini l'uno all'altro e la pandemia, si sentiva... anche se non è un disco sulla pandemia, c'era sicuramente una sorta di filo poetico per quanto riguarda il momento in cui è stato fatto.
L'album è la somma di 3 EP, una cosa che non si vede spesso. Come vi è venuta questa idea?
Non lo so, credo che Luke stesse cercando di spingere quell'idea da circa 20 anni (ride, ndr). È solo un bel modo di confezionare la musica. Inoltre si ottiene un impatto sui social media, il che è davvero prezioso perché di solito gli album muoiono una volta pubblicati. Ovviamente si possono sempre fare video e altri contenuti, ma... È il modo in cui l'r&b e l'hip hop hanno lavorato per decenni: è solo un tipo di pubblicazione più decantata della musica. Non so perché, ma nella cultura delle band c'è l’album. Credo che questo derivi dal vinile e dagli anni '70 e che ora stia tornando in auge, è davvero bello e noi l'abbiamo sempre fatto. Ma è stato bello fare qualcosa di nuovo.
Qual è la tua canzone preferita del disco?
Closer (risponde senza esitazione, ndr). È stato facile, vero? Una risposta veloce: non lo so, c'è qualcosa in quella canzone che mi piace molto. Il ritornello "Closer than we ever dreamed of / We've never been closer than now" risuona davvero dentro di me, soprattutto dopo quello che abbiamo passato con la pandemia.
Non avete mai usato così tanti sintetizzatori come in questo album. Quali sono state le vostre influenze per questa vostra nuova direzione? Prima citavi i Talking Heads ad esempio.
Diciamo che a abbiamo proposto molta della stessa musica che ognuno di noi ha amato. Ci sono un sacco di Cure, di band chitarristiche degli anni '80, che usano il sintetizzatore, solo un sintetizzatore. Come ho detto, i Talking Heads sono stati un riferimento importante per noi: David Byrne è un genio e si è dimostrato più volte un mago. C'è un riferimento anche a Prince in una delle canzoni, credo che abbiamo chiesto l'autorizzazione agli eredi di Prince. Non so se l'abbiamo ottenuta, credo che non l'abbiamo ottenuta (ride, ndr). Abbiamo dovuto fare un beat diverso, perchè c'è stata una grossa discussione per cambiare il beat, dato che volevano anche dei soldi. Poi cos'altro? Anche i Tears for Fears sono stati un nostro riferimento. Poi è difficile citare tutti, perché molti artisti di quei tempi erano una da one hit wonders: era più un movimento, gruppi di chitarristi che sfondavano nel mainstream con i sintetizzatori, una specie di post punk melodico. Tutti loro e poi i Van Halen in realtà [ride]. C'è una canzone che è stata lasciata fuori dal disco, e la cosa mi fa imbestialire. È stata registrata il giorno in cui Van Halen è morto, di conseguenza ho finito per fare un assolo nello stile di Van Halen (ride, ndr), che non piace a tutti, ma se sei un chitarrista è un po' l'Alexa degli assoli. Sono un po' un nerd per quanto riguarda la chitarra. Comunque alla fine è stata lasciata fuori, ma potremmo pubblicarla come bonus track, quindi potrebbe essere eccitante. Credo che questo copra abbastanza bene le influenze.
Nel singolo "Beautiful World" dite "It's such a fucked up world / But I'm glad we're livin' in it”. Non è stato difficile fare un disco così positivo in tempi così negativi?
È divertente, non è vero? Si avverte quest'antitesi chiara. Non ci considererei in quanto band, come parte di una sezione oppressa della società, ma tutti vediamo cosa sta accadendo nel mondo. Volevamo fare una piccola offerta, una sorta di antidoto a questo mondo incasinato, ed è allora che la musica entra in gioco e l'arte può aiutare a liberare altre tensioni. Non siamo una band politica e non credo che abbiamo intenzione di esserlo, ma siamo persone con una mentalità politica, come si può non esserlo in questo momento? Quindi per noi la musica è preziosa per evadere e questo è ciò che speriamo possa aiutarci.
Per questo singolo avete chiamato i Milky Chance. Com’è stato lavorarci?
È stato fantastico! Praticamente condividevamo lo stesso produttore: durante una chiacchierata casuale con Tobias, credo che Luke abbia detto che sarebbe stato bello avere un ospite nel disco. Il loro nome è saltato fuori e ci è piaciuta la loro musica, e poi loro sono nostri fan. È stato bello anche perché quando abbiamo iniziato c'erano molte band e sfortunatamente a quel tempo si trattava più di mettere l'enfasi su ciò che divideva invece di ciò che univa tutte le band indie del nord europa. Ci mettevamo gli uni contro gli altri. E quindi ora è stato bello lavorare con una band contemporanea che rispetti. Se fossimo stati come i nordies e le teste calde, saremmo stati in competizione. Per fortuna al giorno d'oggi credo che si veda il valore e l'aiuto che ci si può offrire reciprocamente con lo streaming, su diversi mercati. Questo è ovviamente, da un punto di vista commerciale, un'ottima cosa per le etichette, che ne sono davvero felici: ma non è per questo che l'abbiamo fatto. Ci abbiamo collaborato perché è una band fottutamente grande e lui ha una voce davvero unica, sono sempre stati capaci di vedere il lato positivo delle cose in quel mondo. Sono bravi ragazzi, hanno buone canzoni, una grande etica, sono berlinesi: quindi aveva tutto molto senso.
Siete in giro ormai da più di 15 anni, guardandoti indietro qual è stato il momento in cui ti sei sentito più orgoglioso?
È un'ottima domanda. Prima rispondo per me e non per tutta la band, visto che non riguarda la carriera in senso stretto. Personalmente mi è piaciuto tantissimo quando mi è stata data l'opportunità di lavorare con un'orchestra d'archi. Mi sono sentito davvero orgoglioso di essere in grado di tradurre le idee che avevo e di farle lavorare melodicamente e armonicamente con questi bellissimi strumenti che non ho idea di come suonare correttamente. È stato per il nostro terzo album e mi sono sentito davvero molto orgoglioso. Un altro momento, diciamo più collettivo, è stato quando qualche anno fa dovevamo suonare al festival dell'Isola di Wight e avevamo fatto poco prima sulla BBC una cover di Victoria dei Kinks. Allora, visto che entrambi i nostri primi due dischi sono stati registrati al Konk, abbiamo chiesto a Ray Davies di venire a suonare con noi al festival e lui ha accettato. Trovarmi sul palco a suonare Victoria, una delle mie canzoni preferite in assoluto, e probabilmente la mia canzone preferita dei Kinks, sul palco con lui, sotto il sole dell'Isola di Wight... credo che in quel momento fossi davvero super orgoglioso.
Si sa che la stampa è nota per creare rivalità nell'industria musicale, come i Blur contro gli Oasis. È vero che all'epoca avevatu avuto degli scontri con gli Arctic Monkeys?
Non proprio, no. Era una specie di... Voglio dire, puoi raccontare gli aneddoti più piccoli nei confronti di un'altra band, come ad esempio l'essere stato spinto in coda al bar e la stampa lo avrebbe notato a quei tempi. Abbiamo fatto un tour insieme per molto tempo, quindi venivamo a vedere gli spettacoli gli uni degli altri. A quei tempi si poteva fare ogni sorta di cosa senza doversene assumere la responsabilità. Ci sono stati diversi aneddoti come quando Alex (Turner, ndr) cercava di legare i lacci delle scarpe di Luke mentre era sul palco o quando noi eravamo a lato del palco e il loro buttafuori ci spingeva giù, buttandoci letteralmente giù dalle scale. Ci sono state storie davvero divertenti e studide e probabilmente ottime per un eventuale libro biografico futuro che la stampa ama, ma no, non abbiamo altro che rispetto e amore per quei ragazzi. Sono nostri coetanei, hanno la nostra stessa età, sono usciti nello stesso periodo e fanno parte della stessa cosa. Probabilmente non li paragonerei musicalmente a noi, hanno intrapreso un percorso diverso dal nostro, ma c'è solo rispetto e amore.
Quindi in pratica è qualcosa che la stampa ha ingigantito.
Le storie sono giuste, solo che l'angolazione è sbagliata.
Un'ultima domanda: il prossimo febbraio suonerete in Italia. Avete un legame particolare con il nostro Paese?
Sì, certo! Amiamo, amiamo, amiamo l'Italia, è il Paese più bello! Ha il meglio di tutto, c'è l'imbarazzo della scelta: l'arte, la cultura, la storia, la musica, il cibo, il vino, le spiagge, l'architettura, insomma tutto. Come possiamo non sentirci legati all'Italia? Sono stato a Firenze poco prima della pandemia, è stato l'ultimo posto che ho visitato perché ci stavo girando un video e Firenze è davvero un punto di passaggio per la cultura nel mondo. A questo giro suoneremo a Milano e ci divertiremo. Gli italiani sono sempre stati dei grandi Kookies (non so come si chiami la nostra fanbase da voi), ma è fottutamente forte e molto appassionata. Tutti ci accolgono sempre molto bene.