13 maggio 2024

Gringo, o l'importanza di vedere il mondo con occhi nuovi: intervista ai Selton

I Selton sono tornati con il nuovo album GRINGO Vol.1 e per l'occasione li abbiamo intervistati allo Spazio Munari di Milano

Guarda il mondo con occhi nuovi: è questo il manifesto di GRINGO Vol.1, il nuovo album dei Selton uscito il 10 maggio per Island Records/Universal Music Italia. Un messaggio che passa forte attraverso la musica della band originaria del Brasile, che da ormai più di 15 anni vive in Italia. Nei 9 brani del disco si respira l’assoluta libertà della band, la gioia della sperimentazione e la voglia di non smettere mai di stupire e stupirsi. Registrato in buona parte nello Studio 13 di Damon Albarn a Londra, non è semplicemente un altro disco dei Selton. È qualcosa di più. Non mancano infatti gli ospiti: dalla leggenda brasiliana Ney Matogrosso ai nostrani Marco Castello, Any Other, Ginevra e Gaia. Senza dimenticare la collaborazione con Corraini Edizioni con cui hanno presentato gli Occhiali Paraluce disegnati da Bruno Munari, uno dei più originali protagonisti dell'arte, della grafica e del design italiani del Novecento. Questo album rappresenta un nuovo capitolo, ma anche una chiusura del cerchio, come mi confermeranno gli stessi Ramiro Levy, Daniel Plentz e Eduardo Stein "Dudu" Dechtiar. Li incontro proprio allo Studio Munari, diventato per l’occasione sede del loro release party.

Selton Gringo intervista Spazio Munari
I Selton allo Spazio Munari | Credits: Maria Laura Arturi

Partirei con una riflessione sul titolo del vostro nuovo album GRINGO Vol.1 e sui vari significati che la parola assume in diverse parti del mondo. Chi emigra spesso sente nostalgia della terra natia ma allo stesso tempo, quando vi torna, prova nostalgia per il paese d’adozione. Come la vivete questa cosa?

Ramiro Levy: È verissimo. Questo ormai è il nostro stato naturale (ride, ndr). Ci siamo un po' abituati a questa condizione di eterni gringos. Quindi effettivamente è una tematica che per noi è molto presente. A questo giro ci interessava più che altro la questione della “prospettiva straniera” più che l’“essere straniero”: riuscire a mantenere uno sguardo da gringo, anche nella propria città, nel posto in cui si è nati. Riuscire a incantarsi per le cose belle e mantenere una prospettiva sensibile. 

Quindi guardare posti conosciuti con occhi nuovi.

Daniel Plentz: Sì, la capacità di stupirsi. Perché lo straniero, ma banalmente anche uno che non vive nella città in cui è nato e ci torna, nota sempre cose che non aveva visto prima. Grazie alla distanza riesce ad avere un distacco che gli consente di notare cose diverse. Noi adesso siamo qui allo Spazio Munari, perché crediamo che Munari, nonostante fosse un Milanese doc, fosse anche lui una sorta di gringo, perché riusciva ad avere uno sguardo un po' distaccato, un po' critico, un po' attento verso la vita e verso le cose. In sostanza  il concetto di gringo può valere anche per qualcuno che vive nel paese in cui è nato.

Selton Daniel Plentz Gringo intervista
Daniel Plentz | Credits: Maria Laura Arturi

Come è nata questa collaborazione fra voi e lo Spazio Munari?

Eduardo “Dudu” Stein Dechtiar: È nata dal nostro desiderio di appropriarci di un oggetto fatto da Munari, gli Occhiali Paraluce, per farlo conoscere alle persone. Avendo fatto la nostra versione degli occhiali, che si trovano nel disco, abbiamo pensato che sarebbe stato giusto presentare il disco qui, far sì che la gente potesse capire un po' di più di questo mondo e chiedersi che cosa c’entrano i Selton con Munari. Anche se non c’è una risposta precisa e molto chiara è una riflessione che secondo me vale la pena provare a fare. 

Ramiro: C’è stata una sincronicità molto bella. Stavamo pensando a tutta la parte grafica ed estetica assieme a Dudu, che ci fa anche da grafico, quando  è venuta fuori questa cosa di prendere spunto dalla Milano anni ‘60, il minimalismo e Jannacci, che comunque ci riguarda direttamente. C'era anche venuta l'idea di proporre questi occhiali e una sera, quando un nostro amico doveva presentare un suo lavoro qua allo Spazio Munari, ci ha presentato Pietro Corraini di Corraini Edizioni. Lì abbiamo scoperto che ci conosceva già. Per puro caso Dudu aveva in tasca degli occhiali che aveva costruito come quelli di Munari e quindi glieli ha mostrati. Pietro ha subito detto “che figata!” e poi da lì è partito tutto, in modo molto naturale.

Lo Spazio Munari a Milano | Credits: Maria Laura Arturi

Con la differenza che i vostri occhiali hanno un filtro verde che richiama l’immaginario del vostro album e rappresenta la voglia di avere un nuovo sguardo sulle cose. Ribaltando questa vostra riflessione, spesso i filtri, soprattutto nel cinema, servono a dare una visione stereotipata del mondo, motivo per cui i film americani ambientati in Messico hanno sempre un filtro…

Daniel:  Giallo o arancione.

Esatto. Come vivete con questi stereotipi che purtroppo fanno parte del mercato?

Daniel: Credo sia una necessità dell'essere umano quella di creare confini, di dare dei limiti alle cose e ai sentimenti  per controllarli, quindi di base credo sia abbastanza naturale. È importante che non si vada troppo in là, altrimenti diventa una prigione. Il nostro invito è di cercare di mantenere una sorta di sensibilità e uno sguardo critico anche su questi confini. 

La parte grafica richiama a suo modo il White Album dei Beatles, a cui siete da sempre profondamente legati, sin da quando vi siete conosciuti a Barcellona. Quando avete deciso di andare in questa direzione estetica? 

Dudu: Devo dire che all'inizio del processo di questo album, che ancora non aveva un nome, era tutto un cantiere molto libero. All'inizio avevamo un po’ il White Album in testa come riferimento, nel senso che sapevamo di voler fare un disco senza tanti paletti, senza necessità di adattarci a un determinato tipo di mercato. Era questo il nostro punto di partenza e volevamo tanto fare un album che fosse rischioso dal punto di vista musicale, perché volevamo sperimentare molto. Graficamente avevamo molte opzioni in testa, ma alla fine ci siamo ricordati di queste prime riflessioni e ci siamo detti che avere la copertina tutta verde era il finale perfetto. Graficamente volevamo togliere qualsiasi riferimento a ogni iconografia precisa per ribadire che ci eravamo concentrati sulla musica. 

Questo album, pur essendo un disco dei Selton come non l’avevate mai fatto, sembra essere anche una chiusura del cerchio. Non solo per i riferimenti indiretti ai Beatles, ma anche per il featuring con la leggenda brasiliana Ney Matogrosso, con la cui musica siete cresciuti. Come avete vissuto questa cosa?

Daniel: Come una benedizione. La sua partecipazione è arrivata all’ultimo, il disco era già masterizzato ma abbiamo chiesto di fermare tutto quando ha deciso di partecipare. E come tante cose in questo disco, come gli Occhiali di Munari, è stata una bellissima sorpresa che non ci aspettavamo. Una vera e propria benedizione per il nostro percorso.

Avete registrato gran parte del disco nello studio 13 di Damon Albarn a Londra, con la produzione di Ricky Damian, italiano emigrato nel Regno Unito, un gringo come voi. Quanto sono importanti i luoghi fisici per voi nel momento della creazione?

Daniel: Moltissimo. All’inizio stavamo cercando uno studio in Italia dove andare a registrare, che avesse una sala grande per poter fare tutte le nostre live takes, con l’idea di fare la post-produzione a Londra. E nel cercarlo la parola chiave  era “trovare un posto che avesse delle vibe giuste”. Avevamo bisogno di un posto dove effettivamente potessimo stare bene ed esprimerci al meglio. Sta tutto lì. Come ti senti in quel luogo determina se sei più o meno creativo. Puoi avere idee, più o meno efficaci, ma l’importante è come ti senti in quel posto. 

Ramiro: Credo che per questo disco, più che per qualsiasi altro, abbiamo veramente sperimentato questa cosa. Lo studio dove abbiamo iniziato a registrare le nostre live takes di cui parlava Daniel era al sud Italia, in Puglia, in mezzo alla campagna. Lì abbiamo fatto 15 giorni di ritiro. Quella roba lì, l’essere isolati nella natura, ci ha dato davvero qualcosa. Poi per finire quei dieci pezzi siamo andati nello studio 13 di Damon Albarn dove lavora Ricky. Quello studio ci ha donato tutt'altra cosa a livello di ispirazione. C’era una quantità infinita di strumenti, sintetizzatori, tastierine giocattolo: tutta la ricerca di Damon fatta nel corso degli anni con i Blur, i Gorillaz e i suoi vari progetti a nostra disposizione. Lo studio poi è fatto benissimo e hai tutto il tempo per concentrarti sulle cose che ti influenzano e ti fanno stare bene. 

Selton Ramiro Levy Gringo intervista
Ramiro Levy | Credits: Maria Laura Arturi

Vi ha mai spaventano l’aver troppa scelta? Troppe porte aperte che magari non portano da nessuna parte?

Dudu: Solitamente all’inizio ci diamo una regola, quella di creare una sorta di palette di colori a cui attingere. All'interno di quel parametro poi siamo completamente liberi, però cerchiamo di darci alcuni paletti perché altrimenti creativamente saremmo portati a usare di tutto. Ci siamo concentrati molto sulle voci, sugli strumenti. 

Una tematica che è sempre stata presente nella vostra discografia è quella ambientale. In questo senso Calamaro Gigante colpisce particolarmente. Come avete deciso di inserirlo nel disco?

Dudu: È nato dalla volontà di raccontare una storia senza per forza essere politici e parlare dell’ambiente. Di base volevano raccontare una storia che avesse valore per il racconto in sé, non tanto per chissà quale motivo politico. Abbiamo deciso di inserirla nel disco perché sin da subito ci è sembrata nuova all'interno della nostra discografia, banalmente perché non è cantata, ma narrata trattandosi di un racconto. E questa cosa ci ha fatto sentire molto “italiani”, perché comunque da straniero staccarti della melodia e andare a scrivere e basta è forse il livello più "madrelingua" che puoi raggiungere. Ci è sembrata una sfida. L’abbiamo fatto sentire anche a un po' di amici per avere un parere e abbiamo capito che era un brano che aveva una sua forza, presenta una visione esterna che ci piaceva raccontare.

Anche se poi inevitabilmente, parlando di ambiente, la politica bene o male ci entra. In Brasile è accaduta una terribile tragedia e l’ho quasi scoperto per caso.*

Daniel: Nessuno ne parla.

Ramiro: Fra l’altro si tratta della nostra città.

Era proprio qui che volevo arrivare. Innanzitutto volevo chiedervi se i vostri cari stessero bene. 

Daniel: È gravissimo quello che sta accadendo. Per fortuna le nostre famiglie stanno bene, ma comunque c’è tanta gente in una situazione di pericolo. Sta finendo l'acqua, c'è in corso un’emergenza umanitaria molto grossa. Ci auguriamo che almeno questa tragedia possa servire come segnale per costruire infrastrutture che possano almeno prevenire o tamponare emergenze future, perché ce ne saranno altre. È già successo altre volte in altre regioni del Brasile, ma mai così. Ci sono delle indagini in corso e c'è stata anche un po' di negligenza: si sta scoprendo che alcune delle cose che sono successe forse potevano essere evitate. Comunque sono indagini che sono partite da poco e quindi sono cose da approfondire.

Come vedete la situazione in Brasile in questo momento storico? Bolsonaro se n’è andato, Lula è tornato in carica e adesso siamo quasi a un anno dal suo insediamento.

Daniel: Dal nostro punto di vista, che è quello artistico e culturale, il Brasile sta vivendo un momento di risveglio. Durante gli anni del governo precedente c'è stato un forte taglio su tutto quello che riguardava la cultura. Quindi è sicuramente positivo che ora ci sia un cambiamento, però il Brasile vive comunque una situazione abbastanza critica, con una situazione politica molto complessa e un divario sociale molto forte. Servirebbe più di un'intervista per parlarne.

Ramiro: Però sicuramente va meglio di quando c’era Bolsonaro.

Intervista ai Selton | Credits: Maria Laura Arturi

Tornando al vostro album, ci sono diverse collaborazioni nostrane: Marco Castello, Any Other, Ginevra, Gaia… Come sono nate?

Dudu: Sono tutti artisti che ammiriamo. Si tratta di collaborazioni più che featuring veri e propri perché si trattava di fare i cori, suonare il sax… Ci faceva piacere arricchire un po' quello che facciamo con gente che abbiamo conosciuto qua e che spacca.

Ramiro: A noi è sempre piaciuta molto questa cosa di fare squadra. E poi sono veramente delle belle persone, quindi è stato molto naturale il pezzo ad esempio con Marco Castello, che è diventato un carissimo amico. Gli avevo mandato il pezzo, lui ha scritto una strofa ed è stato tutto proprio super naturale. E la stessa cosa è successa con Gaia, Ginevra e Adele (Any Other, ndr).

Adesso avete un tour in arrivo, non solo qua in Italia al Mi Ami e in giro per molti altri festival, ma anche in Brasile. Cosa cosa vi aspettate?

Ramiro: Non vediamo l'ora perché ci sono stati molti anni in cui abbiamo fatto tour più spesso in Brasile. Era prima della pandemia, ed era una cosa bellissima tornare lì da gringo.

Daniel: Siamo molto contenti di tornarci!

Siete tutti molto attivi con i vostri progetti paralleli. Quanto ha influenzato la band questo aspetto?

Daniel: Diciamo che il fatto che Dudu faccia il grafico e l’illustratore per noi è una botta di culo come band (ridono, ndr). 

Dudu: Gratis. Schiavizzato. (ridono, ndr) Devo dire che e’ un po' la nostra forza il fatto di stare insieme da tanti anni e avere allo stesso tempo la libertà totale per ognuno di noi di fare il cazzo che gli pare. Altrimenti sarebbe ridicolo, già è un matrimonio precario! (ridono, ndr) Ci hanno aiutato tutte queste cose. Tipo anche il progetto solista di Ramiro su Chet Baker: ha dovuto affrontare un palco da solo, chitarra e voce. Dopo una cosa del genere, è chiaro che quando torni con la tua band sei un frontman più cazzuto. 

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Eduardo Stein "Dudu" Dechtiar | Credits: Maria Laura Arturi

Ramiro: A me ha dato tantissimo quella cosa lì. Non me l’aspettavo, ma il fatto di trovarmi da solo su un palco a cantare e a dover reggere tutto un concerto mi ha insegnato tantissimo veramente nel modo di pormi, a livello vocale, di linguaggio con la chitarra. E sono cose che poi abbiamo inserito anche in questo disco, perché ci gasano.

Dudu: Senza dimenticare tutto il lavoro di produzione che fa Daniel. La cosa bella di tutte queste cose è che comunque ora ci fidiamo ancora di più l’uno dell’altro. Io so ad esempio che la parte elettronica se la può gestire Daniel per i fatti suoi, grazie alla sua ricerca. Stesso discorso per Ramiro e per me per quanto riguarda le grafiche. Tutti noi ormai andiamo su binari paralleli, nonostante siamo una band.

E riguardo alla tua collaborazione con Nic Cester, Daniel?

Daniel: Ho suonato con Nic per 6 anni, ma dall’anno scorso è tornato a vivere a Melbourne e ha ripreso con i Jet. 

Una volta finito questo nuovo capitolo con i Jet, tornerà la Milano Elettrica?

Daniel: Probabile. Però penso che adesso almeno per i prossimi due anni sarà occupato con i Jet, usciranno due brani nuovi, un disco e un nuovo percorso. Vedremo.

*Rilanciamo l'appello della band per aiutare la popolazione brasiliana in ginocchio per via di questo disastro climatico: è possibile fare una donazione qui.

Le foto realizzate per l'intervista sono di Maria Laura Arturi.