07 aprile 2025

Gaia Banfi, l'intervista: La Maccaia, il mare e il suono della memoria

Credo fermamente da un po' di tempo che, musicalmente parlando, non guardiamo mai con attenzione al nostro parco talenti in circolazione. In Italia, c'è spesso questa tendenza a dire che il meglio sia al di fuori, che l'epoca d'oro dei cantautori non c'è più, che esiste soltanto rap e trap e in mezzo un rumore di fondo composto da - come direbbe Willie Peyote in una fortunata canzone di qualche anno fa - "artistoidi un po' boheme".

Un giorno scrollavo la mia timeline delle storie Instagram e mi capita che Iosonouncane sponsorizzi tale Gaia Banfi e il suo singolo Piazza Centrale. Resto subito catturato dalle atmosfere spettrali e da una voce che mi genera un senso di inquietudine che non provavo da un po' di tempo. Quell'inquietudine che, però, genera subito interesse, che trasmette delle vibrazioni nuove o che hanno delle eco lontane che ti permettono di creare collegamenti mentali con i tuoi dischi del cuore o quelli che ti hanno formato da più adulto. Tutto questo, personalmente, Gaia Banfi me l'ha trasmesso in quindici secondi su una storia Instagram (nemmeno sua) e allora sono andato alla ricerca, per intero, de La Maccaia, disco d'esordio (anche se effettivamente potremmo più giustamente definirlo disco di rinascita, siccome il suo primo datato 2020 ha influenze e modalità di scrittura completamente diversi).

Il risultato è uno degli album più sorprendenti di questo inizio 2025. Un disco immersivo, dove il minimalismo si miscela ad arrangiamenti ripetitivi ma mai noiosi, che formano un tappeto sonoro nel quale ognuno può riconoscersi grazie al simbolismo intrinseco delle note.

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Gaia Banfi | Credits: Gloria Capirossi

Mi ha colpito molto l’inizio di Macaia. Dove hai trovato il monologo iniziale del brano e perché l'hai scelto?

Volevo ricercare in rete un dialogo che riprendesse i temi del disco: ovvero, in primis, la spiritualità, il legame con la terra e l'acqua. Il campo di indagine era un po' quello, poi dopo si sono aperte mille altre possibilità, soprattutto la volontà di non dirlo con la mia voce. Volevo che quelle parole, appunto, non fossero sono soltanto mie, nel senso che volevo che uscisse fuori un senso di comunità. La clip audio l'ho trovata in modo veramente casuale, nel senso che ho navigato su un sito che rende pubblici materiali sonori di archivio e ho ascoltato un po' di discorsi di questo parroco. Appena ho ascoltato quello che poi sarebbe diventato l'inizio del disco, ho sentito subito che sarebbe stato perfetto, soprattutto perché inquadra esattamente come vorrei che l'ascoltatore approcciasse questo disco. Siamo sempre presi da mille cose da fare, non riusciamo mai a concederci quei momenti per ascoltare veramente le cose e vorrei che La Maccaia possa essere una felice eccezione.

Ho notato che, in quel dialogo, il pezzo procede con più decisione quando la voce dice la parola home. È stato un caso? Mi sembra che il tuo rapporto con il termine casa sia un elemento centrale del disco.

Certo. Forse è stata una cosa anche coincidente, ma che ho notato anche io, soprattutto musicalmente. Volevo che l'apertura del disco fosse preceduta da suoni ambientali, atmosferici e quindi anche l'ingresso del basso che cadesse proprio su una parola che è appunto casa non è stato casuale. Se devo proprio dirti sinceramente, non ho poi allargato questo concetto in modo scientifico a tutto il disco. Semplicemente sono state idee che si sono riunite in un unico concetto. Ad ogni modo, il concetto di casa per me, in questo disco, è fondamentale. Parlo molto della mia infanzia, dei miei momenti passati tra l'adolescenza e tutti quei passaggi di quell'età sui quali non mi sono mai soffermata più di tanto. Era una cosa di cui avevo bisogno di parlare, ma non perché ci fosse un'esigenza specifica, cioè non ho l'esigenza di raccontare niente a nessuno, è semplicemente un qualcosa che ho fatto in primis per me stessa. In questo frangente, casa coincide con Genova, dove vive parte della famiglia di mia madre. In generale, il paesaggio ligure è centrale, fin dal titolo, anche se in realtà non ci ho vissuto molto tempo.

Un altro tema centrale è il mare, o meglio, più in generale, l’elemento dell’acqua. Hai notato anche questo?

È vero, ho un richiamo particolare verso l'acqua. Mio fratello è velista, la Liguria è circondata da acqua e, personalmente, l'acqua dà l'idea proprio di quel particolare elemento che guardi e cambia continuamente. È come se il tuo sguardo si rinnovasse costantemente, non hai mai dei punti fermi e e quindi per me l'elemento mare e quello dell'acqua è centrale proprio per questo motivo.

Piazza Centrale è in riproduzione continua sul mio Spotify da un po’ di mesi: come mai è stato scelto come singolo?

Non saprei darti una risposta. Dopo D'Una, che è stato il singolo che precedeva Piazza Centrale, c'è stato proprio uno stacco sia dal punto di vista di scrittura che dal lato della produzione, Piazza Centrale era il brano su cui veramente avevo una sicurezza al 100%, il pezzo con cui ricominciare, riavvolgere il nastro. È stato anche l'unico brano che ho scritto di getto.

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Che rapporto hai con i tuoi vecchi pezzi? Perché da come ne parli, mi è sembrato di capire che D’Una dovesse far parte originariamente del disco. Cosa ti ha spinto poi a cambiare idea?

Sì, originariamente sì, poi la volontà è stata quella di non inserirla perché alla fine sono venute fuori nuove idee che mi convincevano di più. Non che io rinneghi quello che ho fatto, assolutamente, però siccome per me questo disco segna proprio un un momento preciso ho semplicemente deciso di separare il passato con questi pezzi e unirli assieme per farli diventare un album.

Rispetto al passato, penso al primo disco, hai utilizzato anche una quantità minore di parole. In Lòtus l’approccio con i testi mi sembra molto diverso.

È difficile per me parlare di quel disco, perché sono cambiata tanto. Lòtus è stato concepito quando ero ancora in un contesto musicale di studio, cioè durante il periodo del conservatorio. Ero influenzata molto da tutte quelle sonorità un po' jazz, un po' r'n'b e con una volontà illimitata di spaccare il mondo. Poi mi sono arrivate delle belle botte di di consapevolezza e di coscienza, ma sempre in maniera formativa, nulla di negativo, però ho avuto proprio un po' delle epifanie e mi sono detta di ricominciare a  lavorare molto sulla scrittura. In due anni ho chiuso quest'ultimo lavoro e sono contenta soprattutto perché i brani fanno veramente parte di me.

Mi stai dicendo che i brani di La Maccaia li senti più tuoi?

Assolutamente sì. Oltre a essere cambiato il processo di scrittura, mi sono circondata anche di persone che mi hanno aperto ad altri mondi musicali.

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Gaia Banfi - La Maccaia

Hai aperto qualche concerto di Daniela Pes, che avevo intervistato quasi due anni fa: avevamo fatto un bel ragionamento attorno all’utilizzo della lingua. Per lei rappresenta una rivendicazione della propria identità musicale, di libertà, si basa sull’invenzione o il mischiare parole di lingue diverse. Qual è stato, in questo disco, invece, il tuo rapporto con il linguaggio?

Il mio obiettivo principale era far passare all'ascoltatore l'idea che quello che scrivevo non fosse banale. Personalmente non mi piace molto la scrittura descrittiva, ne volevo una che si avvicinasse di più alla poesia, con metafore e simbolismi. Credo sia assolutamente fondamentale ricercare. Ho pagine e pagine di bozze e fogli di correzioni. In questo caso è stato cruciale il lavoro di ricerca: ho letto più del solito, mi sono informata un po' di più del solito, ma anche semplicemente per arricchire il mio linguaggio.

Cosa hai letto?

Tanto Byung-chul Han, un filosofo per metà tedesco e asiatico. In merito alla poesia ho letto molto Alda Merini e Mariangela Gualtieri. Contemporaneisti che usano la parola per immagini in maniera estremamente precisa.

Il testo di Amar è l’unico non scritto da te dell’intero disco. Cosa ti ha spinto nell’inserirlo nel lavoro?

La spiegazione più banale è che mi piaceva tantissimo. È stato un lavoro che ho fatto ai tempi del conservatorio. Ho rielaborato e riarrangiato un lavoro di tesi. Un giorno lo stavo riascoltando e mi sono detta che ci stesse benissimo nel disco. Mi è piaciuta anche questa idea di cantare in spagnolo: non ti nego che mi piacerebbe in futuro lavorare anche all'estero, provare ad aprirmi delle porte cantando in una lingua diversa.

Il lavoro di tesi l'avevi basato su questo su questo pezzo o comunque è una sua rivisitazione?

Scrissi una suite in tre atti per pianoforte, voce e quartetto d'archi. La maggior parte degli studenti facevano delle tesi biografiche, invece io ero l'unica cogliona che aveva preparato qualcosa scritta da zero!

Il video di Seia mi ha ricordato le immagini d’archivio di sacramento di Iosonouncane, che sono sia consonanti con la musica, sia molto stranianti. Era anche il tuo obiettivo?

Quando lavori con immagini d'archivio hai accesso a determinati file. La Fondazione Ansaldo è stata gentilissima e ci ha fornito tanti archivi a cui accedere. Ma giustamente sono filmati privati, quindi ci sono alcuni lavori che non era possibile prendere. Devi trovare una via di mezzo e lavorare con quello che hai. Forse non era neanche necessario sbizzarrirsi dal punto di vista creativo. Avevamo molte immagini di esterni, con questa sorta di narrazione che che racconta anche un po' l'evoluzione della vita. È un video che, a tratti, è anche un po' apocalittico. C'è molta natura ed è stata una coincidenza, perché era esattamente quello che volevo raccontare con il visual di Seia.

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Ti vedremo in giro per l'Italia quest'estate?

Ancora nulla di confermato, però spero di far ascoltare tanto il disco dopo che sarà uscito.