Capisci di essere nel giro da un po' quando ti arriva il pre-ascolto del terzo disco di Emma Nolde. Tra me e me, nel mentre che lo ascoltavo, mi dicevo: "Ma è già il terzo?". Dopo un anno di stop dai live, nel 2020 era uscito Toccaterra e il successivo Dormi era stato composto in piena pandemia. È ormai una veterana sul nostro magazine (questa è la terza volta che chiacchiera con il sottoscritto) e ogni biennio che passa tra un album e l'altro aumenta sempre più la sua consapevolezza musicale. Non che il primo disco non ne avesse, anzi, ma oggi Emma Nolde è stabilmente una tra le artiste più vicine al "grande salto" che l'Italia conosca. Questo non credo le interessi più di tanto, la sua aspirazione è farsi comprendere. Più volte in questa intervista l'idea di Nuovospaziotempo, questo il nome della sua ultima fatica discografica, si andava a definire come una sorta di luogo indefinito ma che avesse come denominatore comune la traducibilità umana. L'idea che questo mondo astratto, in realtà, fosse descritto nella maniera più terrena e attuale possibile è un'interessante dicotomia che procede stabile per tutto il disco. Forse che tornare a essere simili - a comprenderci, più che capirci - possa rivelarsi la cifra per uscire dalla crisi nel mondo? Nel suo piccolo, con la sua musica, Emma Nolde non ci è riuscita ma ha fatto un lavoro più importante: se l'è domandato. Riuscire a rendere talmente vivo il suo linguaggio da non appartenere ad una sola comunità ma a quel grande gruppo di esseri umani che comprende veramente ciò che un altro sta cantando. Un'artista che arriva diretta, chiara e schietta. Finalmente.
Mi piacerebbe partire dalla fine. 2 è un pezzo chitarra e voce, registrato con il telefono. A che punto della stesura del disco è arrivato e cosa rappresenta per te l’essere posizionato alla fine della tracklist?
Credo sia il primo brano del disco che ho scritto. Non abbiamo voluto arrangiarlo. A volte le canzoni fanno questo, ti colpiscono al primo take e vanno assecondate. Quindi ho deciso di registrarla esattamente come ce l'avevo sul telefono e come avevo continuato ad ascoltarla nei mesi di prove. In realtà, credo sia un pezzo importante proprio dal punto di vista narrativo, perché lungo tutto il disco parlo tanto della nostra tendenza ad essere troppo distratti dai telefoni e il fatto di terminare l'album con un brano registrato direttamente da un telefono è un tornare alla realtà molto forte. Abbiamo registrato questo audio che avevo fatto col cellulare, facendolo uscire dalle casse: in quel momento ero proprio all’interno della stanza in cui facevamo il disco. Quindi, se senti questo suono “stanzoso” è proprio per questo motivo.
E nel finale, quando dici "Sono due. Due dischi", di cosa parlavi?
Quello è ancora un segreto...
Allora non indago. Riavvolgiamo il nastro. In Sconosciuti parli del fatto che legami molto profondi che credevi potessero resistere allo scorrere del tempo in realtà poi svaniscono. Credi che è anche a causa di questo mondo iperveloce e interconnesso che - anche se potenzialmente potrebbe farti conoscere molte più persone rispetto anche a quindici anni fa - non riusciamo a stabilire un legame duraturo con gli altri?
Questo è un bellissimo punto di vista, che accolgo. In realtà io penso a un'altra cosa quando canto Sconosciuti, ma è bello anche vederci altre interpretazioni. Mi riferivo proprio a dei casi specifici di rapporti che ho avuto e che purtroppo, nonostante ci si dicano cose estremamente intime, ho rischiato di perdere o ho definitivamente perso. Questa condizione è strana perché, per quanto sia duraturo un rapporto, da un secondo all'altro mi è capitato di vedere quanto tutto sia facile da dimenticare. Forse un po' per la nostra tendenza all'abitudine. Specificamente, quando ho scritto questa canzone avevo appena iniziato una relazione e quindi avevo un po' paura che potesse finire così.

In Nuovospaziotempo parli di spazi e universi alternativi, intelligenza artificiale, ma quello che canti è molto terreno, quotidiano, attuale e personale: quale sarebbe un monito da ricordare a te stessa per una futura intervista per il prossimo disco?
Mi vorrei far dire: "Spero che in questo momento tu sia nel posto in cui volevi essere, vestita come volevi essere vestita e che tu stia parlando di qualcosa che ti accende." Adesso, essendo ancora giovane, a volte c'è un po' paura di non risultare interessante oppure di dover dimostrare sempre qualcosa agli altri. Spero che in futuro non debba dimostrare niente a nessuno, solo a me stessa. Poi beh, per come sono fatta sto già pensando a quando avrò quarant'anni.
Il disastro?
Il crollo! (ride, ndr.)
Come hai provato a rendere un tuo personale spaziotempo fruibile e comprensibile alla collettività di chi ascolta il disco?
Non ho pensato agli altri, ho pensato soltanto a me. Quando ho scritto queste canzoni ho pensato poco alle persone. Ci ho ragionato tanto quanto ci chiedevamo in fase di composizione: "Ma questa cosa che stiamo dicendo si capisce o no?". Questo è un ragionamento che ho visto fare anche a Edoardo Prati, un influencer che sui social legge poesie: dice che riceve molti componimenti da persone che lo seguono, però spesso, per quanto possano essere belli, se ne capisce poco il senso. È come se ci si approfittasse del fatto che essendo una forma d'arte non si prende mai veramente in considerazione l'ascoltatore. In altre parole, si rischia di nascondersi dietro dei paroloni giganteschi oppure delle frasi costruite in modo un po' troppo particolare. Per me invece è importante che l'ascoltatore capisca. Se io ti facessi ascoltare una canzone prima che esca mi puoi dire che ti piace o che non ti piace, ma prima devi capire di cosa ti sto parlando. Non deve essere un qualcosa di nebbioso. In generale, nelle canzoni di oggi, c'è questa nebbia che non fa capire bene alcune volte il messaggio ultimo che si vuole trasmettere.
Siccome nelle altre due interviste avevamo parlato molto a lungo delle copertine - che non lasci mai al caso - volevo chiederti qualcosa in più su questa.
Questo set di foto le abbiamo scattate a Milano, in due dei giorni più frenetici di quest'anno. Era esattamente quello che volevo. Ed è esattamente come mi vedo in questo momento nel mondo. Cioè, se tu mi chiedessi quale sia il mio posto nel mondo, ti farei vedere questa foto qui, senza dubbio. Ancora sono alla ricerca di qualcosa ma so che sto correndo. Quello sì, ne sono certa.

Quindi sei uscita fuori dal magma di Dormi?
Esatto. Poi sai, ho scritto Dormi in quarantena, quindi è cambiato veramente tutto rispetto a quel tipo di abitudini, di routine.
Una domanda a cui tengo particolarmente: hai dedicato Universo Parallelo a tuo papà, perciò volevo chiederti quando è stata la prima volta che gliel'hai fatta ascoltare e che differenze dal punto di vista emotivo ti ha trasmesso rispetto a quando hai fatto sentire a tua sorella Te ne sei andata per ballare?
Questa è una bellissima domanda. Pensa che ho fatto sentire Universo Parallelo a mio papà soltanto una volta masterizzato il disco. C'è stata una giornata in cui abbiamo deciso di riascoltare il master e mio papà non aveva sentito niente del disco, tranne i singoli usciti. Perciò, gli ho stampato i testi ed è stato tutto il tempo con questo pdf stampato in mano, gli occhiali da ingegnere e quando è arrivato il turno di Universo Parallelo dopo dieci secondi mi sono girata e c'erano i suoi occhiali appannatissimi. Si è proprio lasciato andare ed è stato un momento stupendo. Rispetto a Te ne sei andata per ballare, non so, non riesco a metterle a confronto. Sono due cose diverse. Forse sia con mia sorella che con mio papà avevo inizialmente paura di fargliele ascoltare. Anche perché se non fosse così glielo avrei potuto dire a voce. Probabilmente il fatto di aver avuto questo timore nel fargliele sentire ha dato una ragione ultima e profonda a quelle canzoni.
Senti, chiudo dicendoti se ti senti pronta adesso per un live a Berlino...
Sì, dai, organizziamolo. (ride, ndr.)
Perché tu mi dicevi, nell'intervista due anni fa: "Eh no, guarda, sarà una meta, al massimo ci devo andare a vivere, è la meta della vita...". Però dai, adesso, adesso un live si può pure fare.
Facciamolo, assolutamente!
