Se il post-punk, ed in particolare quello irlandese, sta vivendo una nuova florida fase della sua intrinsecamente travagliata storia lo si deve anche a band come Fontaines D.C. e, più recentemente, The Murder Capital. Il quintetto formatosi a Dublino ha da subito attirato i riflettori su di sé nel 2019 con il primo lavoro in studio When I Have Fears. Ciò che sicuramente ha contribuito a farli notare sin da subito è senza dubbio l'accezione introspettiva che la band ha saputo dare ai suoi testi: un'autoanalisi versione post-punk, tormentata, schietta, condivisibile e condivisa tanto da portarli a un tour subito sold out nel Regno Unito. A gennaio 2023 è arrivata la definitiva consacrazione con la pubblicazione del bellissimo Gigi's Recovery (qui trovate la nostra recensione), grazie a cui si sono guadagnati la convocazione nei principali festival estivi europei.
Dallo scorso 5 ottobre sono in giro per l'Europa per il The Clown's Reflection Tour che li porterà in Italia ad esibirsi in ben 4 date a Milano, Bologna e Roma e proprio mentre si trovavano a Madrid, precisamente chiusi nelle rispettive stanze di un albergo, ho avuto modo di farmi una lunga e piacevole chiacchierata con Diarmuid Brennan, il batterista della band.
Voglio partire con una domanda che ci permetta di capire un po' di più che tipo di batterista sei. Quali sono e quali sono stati i batteristi che più hanno rappresentato per te dei modelli da seguire?
Così su due piedi mi vengono sicuramente in mente Travis Barker dei Blink-182 (sono sempre stato un suo grande fan), e Matt Helders degli Arctic Monkeys. Se poi ci addentriamo un po' di più nella domanda e su come scegliere chi ascoltare, ti dico che il principio è sempre quello di prendere le band che suonano bene insieme e su quelli che sono un po' i gusti personali, e da lì far caso ai batteristi. Sicuramente Philip Selway dei Radiohead, per il modo in cui il basso e la batteria si legano e fondono la ritmica dei loro brani. Poi in realtà mi piace ascoltare quanta più musica possibile, inclusi il jazz e l'elettronica, per rubare idee da contesti (apparentemente) totalmente estranei. Proprio poco tempo fa ricordo di aver guardato un documentario sui Talking Heads e mi ha fatto riflettere su quanto Chris Frantz sia un batterista formidabile e incredibilmente sottovalutato per quanto ha fatto durante la sua carriera. Infine, penso di aver escluso o comunque di non aver mai davvero approfondito musica che definisco un po' troppo complicata come il metal, i Tool o band come i Rage Against The Machine.
Quindi, in definitiva, pensi che per un artista o un gruppo post-punk, ascoltare musica post-punk ti aiuti e ti porti a poterti definire come tale?
Penso che parlare di post-punk in quanto tale sia spesso riduttivo. Prendiamo come esempio gli stessi Talking Heads: vengono universalmente riconosciuti come band post-punk, ma dire che tutto quello che hanno fatto venga esclusivamente da quel mondo preclude tutta una serie di influenze correlate che vengono categorizzate erroneamente. La gente ci sente molto legati ai Joy Division e non vedono l'ora, in un certo senso, di dirci quanto questo legame è evidente, ma a nessuno importa quanto sia stato importante per me Steve Marriott: grandi brani, grande musica e grandissimo artista, ma non ho mai gravitato attorno al tipo di musica che lui ha composto. Quindi penso sia importante ascoltare post-punk, se quello che vuoi fare vuole avvicinarsi a quel mondo, ma esistono migliaia di generi musicali e sfumature di essi che non si possono ignorare. Poco fa leggevo un'intervista a Jeff Rosenstock, una figura fondamentale per il DIY, grande compositore punk, in cui diceva una roba del tipo: "i miei gruppi preferiti sono le melodie". In realtà lo capisco molto bene ed è ciò che piace anche a me della musica: preferisco di gran lunga ascoltare diversi tipi di musica, senza preclusioni, e cercare quello che mi dà la giusta ispirazione piuttosto che basarmi su quelle liste tipo "le migliori 100 band post-punk". Attualmente sto ascoltando tantissimo i Buena Vista Social Club e stamattina mi sono ritrovato ad ascoltare un disco di Chet Baker solo perché mentre facevo colazione era di passaggio per radio e mi ha incuriosito.
Di recente ho parlato con i bdrmm di quanto essere etichettati come band di un certo genere ti vincoli poi a pubblicare e lavorare limitatamente su quel genere. Cosa ne pensi?
Bella domanda! In generale quando produci musica all'interno di una band è davvero difficile che si vada all'unisono, almeno che non si tratti di una backing band e quindi che ci sia un riferimento centrale e che gli altri musicisti gli siano di semplice supporto. Direi che se tutte le persone all'interno della band contribuiscono diventa inevitabile ascoltare la voce di tutti e non è detto che queste siano sempre sullo stesso genere musicale e che lo stesso genere musicale sia lo stesso poi proiettato nel tempo. Hai fatto l'esempio dei bdrmm e ti dico che è perfetto per descrivere il fatto che probabilmente nel momento in cui scrivevano il loro primo lavoro portavano avanti lo shoegaze, ma non è detto che quello fosse ciò volessero fare per sempre. Un po' come quando da ragazzo ti piace certa musica che poi probabilmente riascoltata più avanti non fa più lo stesso effetto. Il progredire fa parte dell'essenza del musicista: il voler imparare a suonare un certo strumento per introdurlo nei propri brani, voler provare qualcosa di un altro genere, esplorare e lasciarsi contaminare.
La mia prossima domanda si lega perfettamente a queste tue ultime parole. Lo scorso 27 settembre, esattamente un mese fa, avete pubblicato un nuovo singolo, Heart in the Hole. Ho notato un'evoluzione nel suono, si sente un po' di elettronica, se così si può definire. Pensate possa essere il prossimo step del vostro percorso?
Ehi, hai ragione, è un mesiversario oggi! Si tratta di qualcosa di nuovo più che altro perché l'abbiamo scritta insieme mentre eravamo in viaggio insieme in estate tra un festival e l'altro. Sì, in un certo senso abbiamo introdotto un elemento elettronico: non che prima fosse vietato o non lo volessimo. Capita spesso di registrare o campionare suoni e voci su cui poi diciamo di voler sviluppare canzoni, ma diciamo che ci è finito abbastanza naturalmente e che rappresenta un'apertura per il futuro prossimo. Se ci saranno più canzoni come quella nel prossimo disco non te lo so dire, sappiamo che possiamo fare qualcosa di harsh punk, che possiamo spingerci sul melodico e sul cinematico: non padroneggiamo l'elettronica, siamo felici di sperimentarla e di vedere che possiamo sfruttarla e approfondirla. Quello che verrà dipenderà tutto da quello che scaturirà quando inizieremo a chiuderci insieme in una stanza sempre più spesso. Quando uno pensa all'elettronica viene automatico associare l'idea a sintetizzatori o altri strumenti del genere e alla manipolazione del suono, ma ci si dimentica spesso che ogni strumento acustico in realtà ha una parte di elettronica. Nel primo disco in cui le chitarre dominavano abbiamo usato tantissimo ogni tipo di pedale che può venirti in mente, ma ehi, i pedali sono a terra e nessuno ci fa caso (ride, ndr). Penso che la soluzione per il nostro futuro ci apparirà chiara non appena l'avremo davanti, nel mentre ci divertiamo a sperimentare.
La critica in generale, inclusa quella italiana, ha spesso fatto questo gioco di associazioni: i Fontaines D.C. sono stati i nuovi IDLES e ora i The Murder Capital sono i nuovi Fontaines D.C.. Cosa ne pensi? Che somiglianze e differenze vedi?
Beh, siamo tutte band fatte di 5 musicisti! (ride, ndr) Rispondere a queste associazioni è sempre molto difficile, credimi. Quello che vedo io sono 3 band che, anche in termini di suono, hanno saputo ritagliarsi il loro spazio e il loro percorso: cercherò di estraniarmi un attimo dalla band per giudicare dall'esterno quello che vedo ora sulla scena musicale. Gli IDLES stanno spingendo sul loro suono ruvido, i Fontaines producono musica che attualmente ha tutta una sua identità e soprattutto con una lirica che è un punto di forza davvero. Loro hanno pure una voce magnifica e stanno facendo quello che la gente sembra voler sentire. Penso davvero che nessuno sia il nuovo nessuno. Siamo sempre esistiti in contemporanea ai Fontaines D.C. e loro non sono i nuovi IDLES, perché nel mentre gli IDLES si evolvevano e pubblicavano musica.
Ho letto che Heart in the Hole è ispirata a Dublino. Qual è il vostro rapporto con Dublino? Pensi che in qualche modo il luogo in cui si nasce finisca per influenzare le persone?
Penso che in un certo senso l'ambiente in cui cresci ti influenzi indubbiamente e detti un po' il tipo di musica che alla fine produci e penso poi che questo si ripercuota sull'io futuro. Quando penso a Dublino sicuramente provo certe sensazioni che nel tempo si sono trasformate anche in sensazioni non sempre positive, soprattutto quando inizi a viaggiare, a vedere altri posti in Europa. Penso spesso a Dublino e al tornare a viverci, ma è obiettivamente difficile anche a causa dei prezzi, banalmente, e crescendo sicuramente non è più il posto che mi ricordavo da bambino. Si tratta comunque di un posto in cui trovo ispirazione, mi piace sempre tornare a casa quando posso. Anche se devo ammettere che scrivere e comporre mentre si è in giro per le città europee ha un suo certo romanticismo. Viaggiare aiuta ad evolvere il proprio senso critico e in un certo senso modifica ricordi e prospettive su ciò che si ha sempre provato: si vedono le differenze, la nostalgia può aumentare o scomparire. Heart in the Hole dal punto di vista lirico deriva sicuramente da quello che c'è stato tra noi e Dublino e che probabilmente rappresenta diversamente quello che era il nostro rapporto con la città due anni fa rispetto ad ora. Questione di prospettive.
I Fontaines D.C. hanno deciso di lasciare l'Irlanda per spostarsi a Londra per registrare il loro ultimo disco. Pensi si tratti di un passo necessario per le band irlandesi e che in qualche modo il trovarsi in Irlanda possa rendere un po' più tortuoso il percorso per emergere?
Diciamo che per una band si passa molto spesso dall'essere molto lontani per dedicarsi ai propri spazi, al vivere letteralmente uno in funzione dell'altro per molti giorni in un anno. A volte diventa difficile trovarsi, altre volte come durante i tour si creano i momenti perfetti per lavorare, perché sei sempre con gli altri della band. Tra di noi scherziamo sul fatto che indipendentemente dalla città in cui ci troviamo, la stanza d'albergo in cui ci riuniamo diventa LA STANZA, che può essere in qualsiasi città del mondo, ma è al tempo stesso la stessa identica stanza in cui liberare le nostre idee e lavorare insieme. Penso che l'evadere sia più una necessità dettata dal tipo di vita che conduciamo, dal trovarsi spesso a scrivere o a buttare giù idee durante un soundcheck a Valencia o a Barcellona, tanto per dire due città. L'importante è riuscire ad essere tutti insieme nello stesso posto.
Siete passati dalla produzione di Flood a quella di John Congleton: come avete vissuto questo cambiamento?
Innanzitutto permettimi di sottolineare quanto abbiamo amato lavorare con lui e quanto lui sia ancora un carissimo amico della band a livello professionale e umano. Lo scorso febbraio è venuto a Dublino al nostro ultimo live per farci una sorpresa ed è stato bellissimo: è genuinamente un fan della band (come noi lo siamo di lui) e vederlo è stato bellissimo. Fin dai primi lavori come produttore e pure con noi la sua politica è sempre stata quella di mettere l'artista davanti ad ogni cosa. Ci ha aiutato a capire chi siamo e a trovare la nostra strada, a raccogliere quello che meritavamo e che ancora a volte non ci sembra di meritare. In un modo forse un po' caotico, ha sempre saputo individuare la strada giusta per noi e ci ha guidati. Poi è arrivata la decisione di lavorare con John, desideravamo lavorare con lui e il modo in cui lavora al mixaggio è davvero incredibile. Non solo mixa, ma produce e si occupa di tutta l'ingegneria del suono. Noi eravamo alla ricerca di un suono consistente per il nostro prossimo lavoro e non eravamo così sicuri di averlo tra le mani, ma John era davvero interessato a noi e a questo lavoro ed è un po' come nelle relazioni sentimentali quando qualcuno inizia a darti delle attenzioni e tu non puoi non notarle (ride, ndr). Noi tendevamo un po' a chiuderci per ore in studio di registrazione per essere sicuri di fare il più possibile e spesso a rifare diverse cose, ma da subito ci ha insegnato anche la misura del tempo da spendere in sala di registrazione e quanto può essere deleterio passarci troppo tempo: questo è stato decisivo, era quello di cui avevamo bisogno in termini di decisioni creative. Si è creato qualcosa di assimilabile ad un istinto inconscio tra noi e John, per cui i risultati che volevamo sono arrivati nei tempi che volevamo. Vedo questa come maggiore differenza tra i due.
Siete prossimi a quattro concerti in Italia in tre città: Milano, Bologna e Roma. Qual è il vostro rapporto con l'Italia?
Già, saremo nel Bel Paese dal 2 al 4 novembre nelle città che hai citato e non vediamo l'ora per questo mini tour nel tour. Da subito abbiamo ricevuto una gran accoglienza e abbiamo potuto capire l'attenzione che l'Italia ha nei nostri confronti, sin da quando questa estate abbiamo suonato a Bari e Taranto. Sentiamo un interesse genuino nei nostri confronti e in generale verso il rock inglese: gente davvero contenta di poter venire a nostri concerti, non tanto perché ha sentito che passiamo da lì ma perché sa che passiamo da lì!
Si ringrazia Samuele Valori per la stesura delle domande.
I Murder Capital torneranno in Italia per tre date:
2 novembre @ Circolo Magnolia, Milano
3 novembre @ Locomotiv Club, Bologna
4 novembre @ Largo Venue, Roma
Biglietti disponibili qui.