L’anno è il 1995. Mentre nelle televisioni di tutta Italia vedevano la luce trasmissioni storiche come Carràmba! Che sorpresa con Raffaella Carrà e Superquark con Piero Angela, Forrest Gump vinceva l’Oscar come miglior film e la Playstation sbarcava in Europa. Questi erano i tempi dei jeans e delle pance scoperte e mentre il grunge sembrava dominare la scena rock di tutto il mondo con gruppi come Nirvana, Soundgarden e Pearl Jam, l’Inghilterra si preparava a vivere una rinascita che l’avrebbe poi accompagnata nel corso dei decenni successivi.
I primi vagiti di quella rivoluzione musicale, commerciale e culturale che prenderà il nome di oasismania (in riferimento tutt’altro che nascosto alla beatlesmania) emergono già qualche mese prima quando i fratelli Gallagher insieme a Paul “Bonehead” Arthurs, Paul “Guigsy” McGuigan, Alan White e Tony McCarroll debuttano con Definitely Maybe, ma è con (What’s the Story) Morning Glory? che la band di Manchester raggiunge il proprio apice, entrando nella leggenda. Con questo album gli Oasis diventano la più grande rock'n'roll band del pianeta e completano l’ascesa di un gruppo di delinquenti scappati dalle case popolari di Manchester e prestati alla musica che riescono a guadagnarsi le luci della ribalta grazie agli eccessi e alla capacità di incanalare un diffuso sentimento di rivalsa sociale all’interno delle proprie canzoni. La grandezza della band di Manchester è stata proprio quella di riuscire a cogliere un autentico spirito generazionale, che non aveva niente a che vedere con l’autodistruzione dei Nirvana e del grunge, ma riguardava più la necessità di vivere la propria vita fino in fondo e scappare il più lontano possibile dalla condizione esistenziale cui sembri condannato in un generale clima di precarietà e disoccupazione che non offre alcuna prospettiva o speranza per il proprio futuro. Gli Oasis sono stati la band giusta al momento giusto: l’epica, le chitarre e quella sensazione di strafottente onnipotenza hanno rappresentano un nuovo inizio per tanti giovani, incarnando una fase di transizione e un sempre più diffuso fermento artistico e culturale capace di scuotere il Paese dalle fondamenta, non limitandosi solo alle classe popolari o alle élite culturali.
Tutti potevano infatti prendere in mano una chitarra e sentirsi parte di qualcosa di più grande, di un nuovo modo di intendere che stava nascendo. Noel Gallagher rappresentava perfettamente tutto questo e nell’elementare semplicità della sua produzione, è stato capace di raccogliere l'umore di quel mondo, descrivendo alla perfezione un’intera generazione che aspettava solo una scossa. Se Definitely Maybe può essere considerato l’album dell’incoscienza, dell’esplosione furiosa di una una generazione che desidera alzare la testa e lasciarsi dietro la polvere delle metropoli industriali per entrare in una nuova fase, (What’s the Story) Morning Glory? è la vera presa di coscienza di quella generazione. I tempi sono finalmente maturi e il futuro è finalmente arrivato, l’Inghilterra è di nuovo il centro del mondo e un’intera generazione è pronta a vivere la propria vita fino in fondo.
L’album si apre con Hello, pezzo semplice e di presa immediata che nella sua ironia accoglie vecchi e nuovi fan prendendo la piega di un riassunto autobiografico del riscatto di Noel e della band dei mesi precedenti («We live in the shadows and we had the chance and throw it away / And it’s never gonna be the same»). Troviamo successivamente Roll With It, un brano accattivante in cui la strofa funziona anche meglio del ritornello, e che non può essere citato senza rievocare quella che viene considerata la faida per eccellenza degli anni Novanta: Oasis vs Blur. È sullo sfondo della pubblicazione del singolo che si sviluppa, infatti, la cosiddetta Battle of Britpop che vede le due band simbolo di quegli anni protagoniste di litigi e polemiche, tanto sterili nei contenuti quanto fruttuose nelle vendite dato che il singolo viene fatto uscire lo stesso in cui gli stessi Blur pubblicavano Country House (singolo che a sua volta precedette l’album The Great Escape).
Ma mettiamo da parte la band di Demon Albarn e andiamo avanti con due delle canzoni più iconiche degli anni ’90 (e non solo). Ci sono alcune parole che cantate in un determinate modo e collocate in un certo momento del brano riescono a creare un forte sentimento di empatia con chi ascolta. Agli Oasis questo succede spesso e gran parte del merito va ovviamente a Liam Gallagher. Se Noel riesce a comporre testi semplici e capaci di descrivere non solo un mondo, ma il sentimento di una generazione è proprio grazie alla voce di Liam che il messaggio diventa efficace entrando a far parte dell’immaginario collettivo. È così che il giro di accordi più famoso della storia fa da sfondo alla voce gracchiate e aggressiva del più giovane dei fratelli Gallagher che con Wonderwall ci regala una ballad d’amore che deve alla semplicità disarmante e all’impatto immediato di una melodia indimenticabile, il suo successo senza tempo. La grandezza di questo brano si racchiude in una sola parola, quella che apre il ritornello: maybe. È strano ed affascinante come una band così strafottente, arrogante e sicura dei propri mezzi e del successo internazionale si perda nell’incertezza non appena entrata in una dimensione più personale che si concretizza ancora di più nel verso successivo entrato presto nell'immaginario collettivo («You’re gonna be the one who saves me?»). Con il brano successivo veniamo poi rapiti da un giro di pianoforte che ci ricorda una famosa canzone di John Lennon. In realtà quella che sentiamo non sembra Imagine, è Imagine. Ed è con questo omaggio spudorato che si apre l’unico pezzo del disco cantato da Noel, quella Don’t Look Back In Anger che nelle sue trame beatlesiane è riuscita a marcare una generazione intera. Un pezzo folgorante e malinconico, con un ritornello da cantare a squarciagola e in grado di unire tutti quelli che ascoltano in un momento catartico e per sempre indelebile nel cuori di ogni fan degli Oasis.
Con la sfortuna di arrivare dopo due dei singoli di maggiore successo degli anni novanta, Hey Now! riesce comunque a sottolineare ancora una volta la capacità di scrittura di Noel e le doti vocali di Liam, e anticipa le due canzoni probabilmente più riflessive e malinconiche dell’album: Cast No Shadow e Some Might Say, riflessioni sulle proprie debolezze personali e sulla difficoltà di imporsi o realizzarsi nella vita. Questi concetti vengono espressi perfettamente dall’immagine dell’uomo che non fa ombra di Cast No Shadow e che rappresenta una dedica speciale per l’amico fraterno Richard Ashcroft che in quegli anni faticava a trovare la propria strada, ma che godeva già delle stima dei fratelli Gallagher («Bound with all the weight of all the words he tried to say / Chained to all the places that he never wished to say / Bound with all the weight of all the words he tried to say / and as faced the sun he cast no shadow»). Procedendo nell’ascolto dell’album troviamo la disimpegnata She’s Electric a sottolineare ancora una volta quanto la band di Manchester si ispiri fortemente ai Beatles, e l’adrenalinica Morning Glory, una canzone che a detta stessa di Noel Gallagher parla «dell’essere giovani e del divertirsi ogni sera» e che ci accompagna con la sua spinta propulsiva verso l’ultimo capolavoro di quest’album.
Il finale è una sorta di riassunto emotivo del disco ed è proprio Champagne Supernova che ci regala un’immagine dolceamara («Some day you will find me / Caught beneath the landslide / In a champagne supernova in the sky») che racchiude la triste euforia del successo in uno dei brani più lunghi della discografia degli Oasis e che esplode musicalmente nel finale. «Far parte di un gruppo rock di successo», disse all’epoca Noel Gallagher, «è fantastico sei giorni su sette: molte delle canzoni di questo album sono state scritte il settimo giorno». Questa frase probabilmente non racchiude solo il senso di Champagne Supernova ma dell’alchimia intera di quello che è probabilmente uno dei migliori dischi degli ultimi trent’anni.
Universale come pochi altri dischi nella storia, (What’s the Story) Morning Glory? rappresenta perfettamente la massima ambizione di chi fa musica: raggiungere ogni angolo terreste, racchiudere il senso di un genere e diventare uno dei simboli più rappresentativi di una nazione e di una generazione intera. Chi è passato attraverso o è stato anche solo toccato di sfuggita da quest’album non é poi rimasto fermo. Nel corso di questi 25 anni ha avuto modo di crescere e cambiare, passando nel frattempo ad altri ascolti, altri mondi e ad altri modi di intendere la musica. Ma sono certo che sarà sempre in grado di ricordare perfettamente quegli accordi e quei ritornelli come se fossimo ancora nel 1995, con un paio di jeans ed un parka addosso. Bastano i primi secondi di Wonderwall, di Champagne Supernova o di Don’t Look Back in Anger. Nelle pieghe di queste canzoni c'era e c’è ancora un intero universo, un messaggio che è stato colto da un’intera generazione e che ha contribuito, nel proprio piccolo, a cambiargli la vita.