Prendete delle strofe surreali alla Calcutta, traducetele in inglese, aggiungete malinconia quanto basta, unite a una mente creativa che non vuole smettere di viaggiare per l’Europa (e oltre) e indossa rigorosamente un basco, et voilà, avrete ottenuto gli Halloweens.
Usciti nello strategico mese di marzo 2020 con il loro primo album Morning Kiss at the Acropolis per ritornare sulla piazza lo scorso 17 maggio con Opera Singing At The Salsa Bar, gli Halloweens sono il duo britannico formato da Justin Young e Timothy Lanham, che, seppur rimasto lontano dalle luci della ribalta, è riuscito a raccogliersi attorno un manipolo affezionatissimi ed ossessionati, tanto da mandare sold out in pochi minuti il loro primo evento live dedicato.
Questo breve ma fruttuoso percorso è stato possibile grazie a uno stile veramente alternative, eccentrico ed elegante, ma soprattutto grazie all’elefante nella stanza che li caratterizza e gli permette una certa spensieratezza: gli Halloweens non sono altro che il side project nato da una band ben più celebre, i Vaccines, di cui Young e Lanham, se non li aveste riconosciuti prima, sono rispettivamente voce e chitarra/tastiera. I due, già abituati a lavorare ad altissimo livello, intorno al 2019 hanno sentito l’esigenza di collocare alcuni brani, nati dai loro dai loro sforzi creativi come autori, che non riuscivano a trovare in alcun modo spazio nell’universo musicale dei Vaccines.
Così si formano gli Halloweens, un progetto meno esplosivo rispetto alla band madre, più melodico, sognante, a tratti scoppiettante, ma soprattutto libero da aspettative, con nulla da perdere e tutto da sperimentare: “È stata un’esperienza incredibilmente liberatoria essere in grado di scrivere un album, registrarlo, masterizzarlo essendo le uniche due persone al mondo a sapere che esisteva. Non c’era nessun compromesso, nessuna collaborazione esterna e nessuna conseguenza” (Justin Young via NME).
Ciò che già da un primo ascolto potrebbe stupire degli Halloweens è la somiglianza concettuale tra il loro indie-rock britannico con la corrente indie italiana, in cui certamente un sound che si allontana dal mainstream ha un ruolo centrale, ma allo stesso tempo non si può dire che il vero fulcro non sia occupato dalla scrittura. Nelle 11 tracce di Morning Kiss at the Acropolis, album la cui genesi ha dichiaratamente visto nascere i testi prima della musica, i due Vaccines dimostrano una straordinaria capacità di costruire mondi complessi a partire da concetti semplici. Young nel raccontare la sua prospettiva nella scrittura si è definito più “experiential” che “observational” ed interessato, in questa specifica raccolta, ad esplorare i paradossi della vita moderna: “Ho studiato la storia degli imperi all’università e mi ha sempre interessato la loro caduta, e se guardiamo ai Romani, ai Greci, agli Egizi, in loro convivevano una folle decadenza e illuminismo, e alla fine si sono consumati da soli (…). Allo stesso modo noi viviamo delle vite paradossali, diciamo ‘fanc*l* le bottiglie di plastica!’ e poi ogni venerdì sera usciamo vestiti con i nostri capi di fast fashion” (Justin Young via The Line of Best Fit).
Così nella ballad romantica Ur Kinda Man il desiderio di piacere a una specifica persona (“And the older I get, doesn’t feel like I can/
But I wanna be your kind of man”) finisce per riflettere in generale tutti quegli sforzi fatti per adeguarsi ai diktat della società ed illuderci di essere persone rispettabili. Nella hit più funky My Baby Looks Good With Another l’autoironia si abbatte sulla propensione umana a desiderare chi è già di qualcun altro e a curare la propria insoddisfazione viaggiando con la mente, nella quale tutto è così possibile e perfetto che ci si può anche dare un bacio sull’Acropoli di prima mattina (“I didn’t mean to get so in your face/ Wanted to stop but I couldn’t find a space / So we went to my head and we stayed all afternoon”).
In questo primo album, ai pezzi lenti, in cui il pianoforte spadroneggia e il cantante ci porta in giro per il mondo insieme a una malinconia che arriva fino all’osso (Broken English, Map Of Vietnam, Paris Undercover), se ne affiancano altri in cui, con l’arrivo di synth e percussioni, si apre la strada verso una felicità scoppiettante, nonsense, talvolta grottesca, come accade in quello che era stato il singolo di lancio Hannah, You're Amazing, o nella traccia di apertura Rock Bottom Rock, che scimmiotta il classico Rock Around The Clock e recita una bizzarra morning routine, del tipo: “I moisturize before I face my demons”.
Nel 2022 gli Halloweens si sono esibiti sul William’s Green stage all’interno del palinsesto di Glastonbury, poco dopo aver pubblicato un breve EP in 4 tracce - Halloweens 4 Life - dai toni più folk, dove per la prima volta appaiono delle chitarre. Poi due anni di quasi assoluto silenzio, mentre Young e Lanham con i Vaccines completano un nuovo album (Pick-Up Full of Pink Carnations) e un tour europeo, finché, all’improvviso, questo febbraio una loro foto con lo sfondo della Torre Eiffel appare sull’account Instagram e capiamo che qualcosa si sta muovendo.
Opera Singing At The Salsa Bar, il secondo album degli Halloweens, arriva con la nonchalance che caratterizza l’intero progetto. Nessuna grande promozione, nessuna intervista, lo precedono solo la rivelazione della sua copertina arancione, molto anni ’70, e alcuni frame dal video del singolo di lancio, Colombia Record, ispirato allo stile di Wes Anderson, in cui il duo vaga per Parigi rubandosi a vicenda una valigetta dal contenuto misterioso e sotto al quale un fan reclama logicamente la loro presenza in Colombia.
Si tratta di un album in qualche senso più modaiolo, che non si fa scrupoli ad usare il sintetizzatore per ottenere quei sound elettronici che attirano tanto in questo periodo. È un curioso cambio di rotta che potrebbe leggersi come monito della scarsa propensione che i due Vaccines, ora divenuti Halloweens, coltivano nel restare confinati nel proprio stesso sentiero battuto. Tra i pezzi del loro secondo genito, Hymn with No Choir è quello che testimonia meglio questo tipo di attitudine: un brano disco, quasi grunge, pieno di scratch futuristici e lontanissimo dai tasti del pianoforte. Alla stessa linea sonora si accoda poi la streammatissima Hiro, dove insieme al sintetizzatore ritorna il tema della caduta degli imperi come metafora della mancanza di senso nella vita moderna (“But then what if I lose control of feeling / Or I didn't know where to go for meaning / Oh I thought it might help to know as I fall down like Rome”).
Nonostante ciò, Opera Singing At The Salsa Bar riesce comunque a mantenere, soprattutto nelle intro, lo stile sontuoso a cui gli Halloweens hanno abituato i loro seguaci. Ciò accade, ad esempio, in What Did I Do To Love, che si apre con il loro ormai tipico giro di pianoforte prima di lanciarsi in una carrellata di ritmi carnevaleschi. Non mancano i titoli e argomenti eccentrici e surreali (il singolo Prophets of Nostalgia o Star Wars on The Saxophone, dove all’ultimo miglio di una storia d’amore il protagonista sarebbe disposto a dare tutto pur non lasciar andare, tranne ciò che è veramente necessario), tantomeno la malinconia profonda da curare esclusivamente con l’arte
All of the answers in the world are free /
but you have none to give to me
(- All of the Answers in the World)
Gli Halloweens, che tra le loro fonti di ispirazione citano Leonard Cohen ed Arthur Russel - e non si fanno problemi a reinterpretare i Dire Straits (si veda la loro cover di Brothers in Arms) - sono un animale raro nell’industria musicale: un side project fortemente identitario capace di attirare un pubblico del tutto sconnesso dalla band originaria, ma che proprio grazie ad essa gode di straordinaria libertà, non subendo la pressione di dover ricercare un successo autonomo. Insomma, gli Halloweens sono i talentuosi figli mantenuti dei Vaccines e forse un giorno saranno in molti ad apprezzarli. Di sicuro abbiamo visto mantenuti impiegare peggio il loro tempo.