16 maggio 2023

Storia dei Sylvie, la nuova band che racconta una fiaba folk lunga due generazioni

Galeotto fu l’algoritmo. È facile incontrarli sul feed di Instagram di qualche utente appassionato degli anni Settanta. Una sorpresa inaspettata che non si è esaurita in semplici post di suggerimento, perché la storia di questa band dal nome di donna, Sylvie, è molto più che una pubblicità sui social: è il racconto di un figlio che riscopre la passione per la musica del padre a distanza di decenni.

Tutto ha inizio qualche anno fa in una cittadina dell’Ohio, quando il chitarrista dei Golden Daze e dei Drugdealer Ben Schwab trova in un armadio di casa una vecchia scatola che contiene alcune cassette. Sono dei Mad Anthony, la band di suo padre John, che nel 1975 aveva registrato un album in un fienile della California. Tracce rimaste inascoltate e dimenticate per lungo tempo: il gruppo non riuscì mai a firmare un contratto discografico.

Ben Schwab - foto di Benjamin Buxton

Galvanizzato dall’ascolto dei nastri del padre, Ben decide di fondare i Sylvie, insieme ai cantautori Marina Allen e Sam Burton. I tre si riuniscono nel garage di Ben nella sua abitazione di Silverlake, quasi volendo ripercorrere il viaggio dei Mad Anthony in California. Riuniscono qualche giovane amico musicista, rimettono in ordine le melodie, scrivono i testi, richiamano dall’Ohio persino papà John, che canta due canzoni. Fanno uscire prima un ep, poi l’lp omonimo Sylvie, quest’ultimo pubblicato lo scorso 14 ottobre per l’etichetta indipendente Full Time Hobby.

Le sette canzoni di Sylvie si dipanano come un racconto fiabesco, accompagnate da un’acustica leggera e da una tastiera che compare timidamente nelle tracce. I ritmi sono lenti, le percussioni avanzano semplici, talvolta finiscono per essere sopraffatte dall’elettrica, che padroneggia le tracce con accordi e assoli acuti, fino a trasportare l’ascoltatore dentro un sogno. Un sogno che è tipicamente americano: la ricerca di una felice riuscita del progetto poco ambizioso ma molto spensierato – e per questo, attraente – di John Schwab e compagni. Ma c’è anche tanto realismo in Sylvie. Già dal primo brano, il gruppo mette in chiaro il suo obiettivo: non presentare al pubblico un tentativo goffo di emulare la scena musicale di Laurel Canyon, di quegli artisti che a differenza dei Mad Anthony hanno fatto carriera.

Il risultato è un folk romantico che arriva fino a sfiorare il cuore (Falls On Me) che si mescola a un rock psichedelico squisitamente moderno (Stealing Time). La voce profonda e segnata dall’età di John Schwab si armonizza con le chitarre e le tastiere del figlio (Rosaline). A questi, si aggiungono la dolcezza delle interpretazioni di Marina Allen – sue la prima e la quarta traccia dell’album – e il disincanto emotivo e dirompente di Sam Burton, che canta nella seconda e ultima canzone di Sylvie. Le due generazioni entrano in contatto tra loro per intessere un dialogo senza tempo: altro esempio di questo scambio, la strumentale 50/50, un brano singolare dove si incontrano per la prima e ultima volta gli archi, introdotto da una chiacchierata al telefono tra John e Ben che riassume il processo creativo dell’album. In Sylvie, le atmosfere delle vecchie incisioni dei Mad Anthony riacquistano freschezza, la differenza tra le due band è impercettibile, nonostante la distanza di circa mezzo secolo che le separa.

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Sono storie quotidiane, di sentimenti semplici che accomunano chiunque, quelle dei Sylvie. Parlano di momenti di coppia vissuti intensamente, di alti e bassi e cuori non troppo spezzati (Further Down the Road), di risate fatte insieme che vengono conservate gelosamente tra i ricordi, di sguardi rivolti al cielo, alla ricerca di una stella cadente che possa cambiare il proprio destino (Shooting Star), di quel gran mistero che è l’amore, che fa persino migliorare gli uomini, anche solo per poco.

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Il brano Sylvie, scelto da Ben Schwab per dare il nome alla band, è l’unica traccia non originale dell’album: è una cover di un pezzo dei Matthews Southern Comfort, uscito nel 1970 nell’album Later That Same Year. Il gruppo omaggia la band di Iain Matthews con una versione più decisa, facendo affidamento al potere della voce rotta di Sam Burton, che arriva quasi a struggersi.

La decisione di chiamarsi con questo nome di persona è stata dettata da una definizione tutta personale di Ben Schwab di “Sylvie”: «Una canzone del passato che è incredibile ma per qualche ragione è praticamente sconosciuta». Meraviglie che solo la musica sa creare: scoprire il proprio passato, capire che è molto più vicino di quanto si pensi perché è legato indissolubilmente alle nostre vite.

Sylvie - foto di Kathryn Vetter Miller

A maggio, i Sylvie faranno tappa nei club di diverse città europee (l'Italia è assente). Di seguito, le date del tour:

11/05/2023, Brighton (Regno Unito), The Great Escape Festival

14/05/2023, Bristol (Regno Unito), Crofters Rights

15/05/2023, Manchester (Regno Unito), Yes Basement

16/05/2023, Glasgow (Regno Unito), Broadcast

17/05/2023, Leeds (Regno Unito), Brudnell

18/05/2023, Londra (Regno Unito), Hackney Social

19/05/2023, Amsterdam (Paesi Bassi), Paradiso

22/05/2023, Malmö (Svezia), Plan B

23/05/2023, Göteborg (Svezia), Pustervik

24/05/2023, Copenaghen (Danimarca), Vega Ideal Bar

26/05/2023, Berlino (Germania), Badehaus

29/05/2023, Parigi (Francia), Maroquinerie

30/05/2023, Lussemburgo (Lussemburgo), Rotondes

31/05/2023, Anversa (Belgio), Trix.