Esattamente come Johnny Depp e Benicio del Toro in Paura e delirio a Las Vegas, Pete Doherty e Carl Barât sono i protagonisti di una storia i cui ingredienti combaciano quasi alla perfezione con la movimentata pellicola della fine degli anni '90. Il viaggio dei Libertines necessiterebbe quanto meno di una saga bibliografica/cinematografica per poterne trattare con un grado di dettaglio tale da far apprezzare a tutti le numerose e turbolente vicende che la comporrebbero. Incontri, idee realizzate, dischi, successi, droghe, esclusioni, altre droghe, progetti paralleli, rehab, ricongiungimenti e poi scioglimenti. Tentiamo di mettere ordine insieme in queste montagne russe fatte di episodi di vita vera e di sostanze stupefacenti, per non incappare nel rischio di etichettare il gruppo come una banda di sbandati e per non sminuire le indubbie capacità artistiche dei due protagonisti della storia da paura e delirio che ebbe inizio proprio a Camden Road.
Partiamo dai dati e dalle ricorrenze storiche della band. Pete Doherty conosce Carl Barât nel 1997 per una delle solite strane coincidenze della vita: Barât era al tempo il coinquilino della sorella maggiore di Pete a Richmond, periferia sud-ovest di Londra. Carl, classe '78, studia teatro alla Uxbridge University mentre Pete, '79, aveva intrapreso gli studi in letteratura inglese. La scintilla tra i due viene generata dalla condivisa passione per il song-writing e decisamente in fretta capiscono che condividere un appartamento è la cosa più sensata da fare per poter far fruttare tutta la loro ispirazione e voglia di ritagliarsi uno spazio nel mondo, abbandonando le rispettive carriere universitarie: direzione Camden Road. Con il loro dirimpettaio Scarborough Steve (al secolo Steve Bedlow) decidono ben presto di mettere su una band a cui affibbiano il nome di The Strand. Il loro appartamento diventa il loro teatro prediletto in cui esibirsi: il "The Delaney Mansions". Sono questi i piccoli aneddoti a cui mi riferisco quando dico che la loro rocambolesca storia meriterebbe quanto meno un film, magari diretto da Quentin Tarantino o Guy Ritchie dei tempi migliori (per i cinefili, quello di Lock & Stock).
Dopo una breve parentesi sotto lo pseudonimo di The Albions, in onore dell'antico nome attribuito alla Gran Bretagna, l'aggiunta in formazione del bassista John Borrell sancisce la nascita ufficiale dei The Libertines: ma perchè proprio questo nome, vi chiederete voi? Una ragione scontata non poteva esserci, ovviamente. La fonte d'ispirazione è il discusso romanzo The 120 Days of Sodom, or the School of Libertinage scritto da Donatien Alphonse François, Marchese di Sade, mentre era prigioniero nella Bastiglia nel 1785 e edito solamente 120 anni dopo per mano di uno psichiatra che vi trovò una enorme serie di analogie con casi di pazienti psichiatrici in cui si era imbattuto nel tempo.
Nel frattempo Borrell, dopo alcune sessioni di prova in studio con i due membri fondatori, non si presenta più e parte per una tournee senza dire niente a nessuno. Vieni quindi sostituito da John Hassall e dal 1999 diventa il bassista definitivo della band.
Siamo nel 1999 e i The Libertines si muovono spediti, esattamente come Johnny Depp e Benicio del Toro sulla loro Chevy Caprice nel deserto, verso quello che nel giro di pochi mesi sarà il successo. Iniziano le attività di registrazione dei primi 3 brani negli studi Odessa (pagati da loro stessi) sotto la guida di Gwyn Mathias, che poteva vantare una collaborazione con i Sex Pistols. I live si spostano dalla loro abitazione al Whisky Cafe di Filthy Macnasty in cui Pete sbanca il lunario come barista. Il primo a credere in loro è Roger Morton, giornalista di NME che li vede in uno dei concerti nel sopracitato locale e si propone di fare loro da manager. I ragazzi si fidano e arrivano a rinunciare ad un'offerta del navigato produttore John Waller: come logico aspettarsi da una storia come questa, non si è rivelata una decisione saggia. L'entusiasmo di Morton dura 6 mesi al termine dei quali, viste le aspettative non soddisfatte, il manager se la dà a gambe. Tutto da rifare.
Oltretutto, manca un batterista e per averlo abbiamo bisogno di un altro passaggio strabiliante nella trama. I candidati che arrivano in studio non soddisfano la band, i provini non sono ritenuti all'altezza. A risolvere la situazione ci pensa lo stesso Mathias in studio di registrazione, arruolando per una cinquantina di sterline il veterano Paul Dufour, all'epoca cinquantaquattrenne. 54 anni, avete capito bene. Alla batteria di un gruppo di sbarbatelli di 19 anni.
Il primo tentativo di LP intitolato Legs XI viene registrato in seguito all'incontro conBanny Pootschi, avvocato della Warner Chappell Music Pub., che crede nel loro potenziale e gli fa raccogliere le loro migliori 8 tracce dell'epoca. Il successo tarda ancora una volta ad arrivare, l'equipaggio inizia a scoraggiarsi e arriva l'ammutinamento: Hassall, Dufour e Pootshi abbandonano la nave. La soluzione ai problemi capita tra le mani di Doherty e Barât, ora rimasti soli, piovendo dal cielo. Oltreoceano c'è un gruppo che sta iniziando ad attirare tutti i riflettori su di sé, una fiammella che sta prendendo sempre più vigore. Sto parlando degli Strokes, che con Is This It (2001) spianano la strada ai nostri beniamini londinesi. Pootschi torna sui suoi passi di corsa, riassembla i cocci della band e si impegna a scritturare i Libertines per la Rough Trade Records di Londrea. Ma non solo: fa fuori Dufour perché troppo vecchio e recluta Gary Powell: i The Libertines hanno finalmente trovato la loro formazione completa e definitiva.
Inizia ufficialmente la scalata al successo di Barât e Doherty. La firma per un'etichetta li lancia come band di supporto dei già famosi Strokes e Vines, aumentando l'attenzione attorno al loro nome (in particolar modo quello di NME, da sempre in prima fila per le vicende che negli anni hanno coinvolto i Libertines). Nel giugno 2002 la band registra sotto forma di doppia A-side i primi due singoli, prodotti da Bernard Butler, ex chitarrista dei Suede: What A Waster e I Get Along. Il loro suono e la loro attitudine fanno sì che i Libertines attirino sin da subito l'attenzione, ma le radio boicottano più o meno volontariamente la loro ascesa per un motivo molto semplice: nei pezzi c'è un utilizzo spropositato di parolacce, per cui la loro riproduzione radiofonica risulta praticamente impossibile. Poi la svolta: Mark and Lard di BBC Radio 1 scelgono una versione censurata di What A Waster come singolo della settimana e i ragazzi di Camden ottengono immediatamente la 37esima posizione nella UK Singles Chart oltre alla comparsa in copertina di NME.
Sulla cresta dell'onda, ad ottobre dello stesso anno arriva il primo disco (e che debutto), anticipato di qualche settimana dal singolo omonimo. Sotto la produzione di Mick Jones (chitarra e seconda voce dei Clash), Up The Bracket è da subito un successo e frutta alla band il premio di Best New Band agli NME Awards. In un anno solare, il 2002, la band è attivissima e arriva ad esibirsi live ben 100 volte in giro per il mondo, incluse aperture a Sex Pistols e Morrissey. Ma non tutto quel che luccica è oro e ben presto le vicende iniziano a complicarsi, tornando al binario cinematografico da cui avevamo iniziato il racconto. Doherty non ha mezze misure, in ogni cosa che fa, lo si sente nei brani e lo si nota ancora di più fuori dalla musica. Intraprende una relazione piuttosto complicata con droghe di ogni genere. Barât inizia a prendere le distanze dal socio per le condizioni con cui sempre più spesso si mostra e per le persone con cui inizia a circondarsi. Nel maggio 2003 i Libertines si trovano a New York per registrare i brani in quelle che presto saranno note come The Babyshambles Sessions ed è proprio qui, come nelle storie delle più grandi rock band, che gli attriti tra i due prendono la forma di uno dei pezzi più iconici del gruppo, Don't Look Back Into The Sun, rilasciato ad agosto dello stesso anno.
La situazione diventa però sempre più critica e Carl alla fine abbandona le registrazioni e farà lo stesso per i successivi mesi in cui Pete e compagni continuano imperterriti a suonare in guerrilla gigs. Lo strappo definitivo tra i due avviene il giorno del compleanno dello stesso Barât, per cui Doherty aveva organizzato un concerto a sorpresa per festeggiarlo in grande stile. Ma Carl non si presenta, dando la precedenza ad una seconda festa parallela con un altro gruppo di amici. Come immaginerete, Pete non la prende affatto bene. I due iniziano a boicottarsi a vicenda, non presenziando in occasioni diverse e ovviamente con preavvisi indecifrabili. Pete si tuffa in un progetto a parte, denominato Babyshambles, giusto per mettere un dito nella piaga aperta tra i due fondatori dei Libertines, mentre il resto della band continua il tour in Giappone suonando senza di lui. Completamente fuori di sé, Doherty svaligia casa di Barât, viene arrestato e a pochi giorni dalla pubblicazione di Don't Look Back Into The Sun si dichiara colpevole di furto e di consumo di stupefacenti. Parkour! (cit.)
Il risultato è una condanna a scontare 6 mesi di carceri nella prigione di Wandsworth, ridotti a 2 in appello e ulteriormente abbreviati per buona condotta. Al termine della pena ad attendere ai cancelli della prigione, come nelle più classiche svolte melodrammatiche di ogni bel film che si rispetti, c'è Carl Barât. Il gesto di distensione per antonomasia. Per festeggiare la tranquillità ritrovata, la band si esibisce festosamente al pub Tap'n'Tin a Chatham, contea di Kent, con la formazione dei Libertines al completo in quello che poi sarà nominato da NME come Gig of the Year. Le vele tornano ad essere spiegate, il cielo si rasserena e nonostante Don't Look Back Into The Sun sia il loro unico singolo pubblicato nell'anno solare trascorso, nel 2004 i Libertines si esibiscono in tutta la loro magnificenza in un tour che culmina con tre date sold-out alla Brixton Academy e vengono insigniti del premio Best Band agli NME Awards.
A perturbare questo raro momento di quiete e unione tra i vari membri ci pensa Peter Wolfman Wolfe (è o non è anche questo un nome perfetto per un personaggio Ritchieiano?), professione poeta, amico di Pete e una grande passione per gli stupefacenti. Doherty non è esattamente una persona nelle condizioni di opporre resistenza ad uno stimolo simile: la registrazione di due singoli in collaborazione con Wolfman, in cui Barât si presta come chitarrista, è l'occasione ideale per Pete di riavvicinarsi alle droghe e ricadere nella dipendenza. Carl ovviamente non accetta la nuova sbandata del socio e i rapporti tra i due precipitano ancora una volta, proprio mentre la band è alle prese con le registrazioni del secondo disco. Gli uomini ingaggiati dall'entourage della band per la sicurezza vengono presto riconvertiti come guardie del corpo per i due, in modo che non possano farsi male a vicenda. Conclusa la parte di pura registrazione, Doherty chiude un'altra volta i rapporti con il gruppo lasciando ai colleghi tutto il lavoro di mixaggio e dubbing. Nel maggio del 2004 entra in riabilitazione una seconda volta e la abbandona prima del previsto per poter essere reintegrato nella band, salvo poi lasciarla nuovamente dopo appena 7 giorni nel giugno 2004. È l'ultimo ingresso nella band di Doherty, con la promessa di tutti i membri della band che, una volta disintossicato e ripulito, Pete sarebbe stato riaccolto a braccia aperte nei Libertines.
In tutto ciò, a fine agosto 2004 esce The Libertines, il tanto agognato secondo album della band (vorrei sottolineare che tutti i fatti appena raccontati sono accaduti in appena 4 anni) con la sua iconica copertina in cui Carl Barât e Pete Doherty mostrano lo stesso tatuaggio libertine con la grafia di Barât. Anticipato dal singolo Can't Stand Me Now che racconta la rottura tra i due leader, il disco si piazza in posizione n. 2 nelle classifiche UK. A dicembre dello stesso anno si tiene a Parigi l'ultimo concerto dei Libertines, orfani di Pete Doherty: Carl Barât preferisce non proseguire senza il suo amico-socio.
Ci sono voluti anni prima che i risentimenti si smorzassero e che il desiderio di tornare a collaborare si riaccendesse, ma per mantenere fede alla premessa di una storia meritevole di una saga cinematografica, ecco a voi il perfetto gran finale. Doherty, al netto di tutti i suoi difetti, negli anni ha sempre saputo mantenere alta l'attenzione attorno a sé (aiutato dal successo ottenuto con i suoi Babyshambles, dal rapporto con la top model Kate Moss e dai suoi eccessi con le droghe); Barât dal canto suo ha provato a destreggersi al meglio con i suoi Dirty Pretty Things di cui faceva parte anche Gary Powell (il loro disco d'esordio Waterloo To Anywhere ottiene il consenso della critica e il terzo posto delle classifiche inglesi), salvo poi capitolare al secondo album per la scarsa attenzione ricevuta. Il 29 marzo 2010 la svolta: in una conferenza stampa che, in perfetto stile Libertines, sfocia nell'ennesimo guerrilla gig, Doherty e Barât annunciano la reunion per la partecipazione ai festival di Reading e Leeds. Fan e critici accolgono con grande consenso il loro ritorno.
Il passo decisivo verso la fine delle discordie è il concerto annunciato in pompa magna ad Hyde Park (Londra) previsto per il successivo luglio. Attitudine, sfrontatezza, giusto livello di scazzo e indie a profusione: è uno dei più bei live dell'anno e la band, sull'onda dell'entusiasmo annuncia un trittico di concerti per il settembre dello stesso anno. Per completare il ritorno sulla scena e la coronazione (finalmente) di tutto il loro potenziale, la band pubblica nel 2015 il terzo lavoro in studio, Anthems For Doomed Youth, il cui tour di promozione viene organizzato nei migliori palazzetti britannici e supportato in ogni data da band del calibro di Blossoms e The View per citarne un paio.
Il resto della storia è fatto di dischi solisti di Barât e del suo progetto Dirty Pretty Things, di un gruppo parallelo (e che gruppo) per Pete Doherty (i Babyshambles e Peter Doherty and the Puta Madres), tanti gossip e altrettanti tentativi di riunirsi e provare a riprendersi tutto ciò che sarebbe potuto essere. Pur travagliata e decisamente movimentata, il profondo legame tra i due artisti ha fatto sì che ognuno dei due non fosse in grado di liberarsi in modo definitivo dell'altro, formando un'unica stella binaria attorno a cui hanno roteato in questi primi vent'anni infiniti pianeti.
Di certo, oltre alla loro amicizia, rimane un gruppo che ha fatto la storia dell'indie rock made in UK dei Duemila. Ora non ci rimane che goderci il loro ritorno in Italia previsto per venerdì 11 novembre all'Alcatraz di Milano.