Nonostante le critiche, nonostante il menefreghismo, nonostante l'organizzazione artistica costantemente e naturalmente criticata, il Festival di Sanremo rimane sempre uno degli eventi più discussi dell'anno. Questo perché la sua stessa missione di voler immortalare la musica italiana facendo riferimento principalmente al mainstream lascia perplessa (e delusa) una grossa fetta di persone. Poi perché è effettivamente per ragioni storiche la manifestazione canora più importante del nostro paese. E infine, da qualche anno, perché c'è chi ha avuto la brillante idea di costruirci sopra un gioco fantasy a cui nessuno può più sottrarsi, tra competizioni tra amici e persino intra-ufficio. Il risultato tenendo conto delle passate 10 edizioni è un seguito medio di più 9.500.000 telespettatori a serata con uno share superiore al 51%. Praticamente più di mezzo paese.
E come ogni spettacolo che si rispetti, c'è il più classico gioco delle parti. Tony Effe, Fedez e Achille Lauro rappresentano - volenti o nolenti - l'intreccio del gossip su cui costruire la narrazione del chissà-che frecciate-si-scaglieranno e riempire così il palinsesto dei varietà.
Francesco Gabbani, Giorgia, Noemi, Simone Cristicchi, Massimo Ranieri e Irama sono gli evergreen, quelli che puoi star sicuro che in un modo o nell'altro appaiono (e fanno la loro figura). E mettiamoci pure Marcella Bella, che quest'anno riveste il ruolo precedentemente di Loredana Bertè di "anima rock" che non vuole arrendersi all'età che avanza.
Coma_Cose, Rose Villain, Bresh, Gaia, Olly, The Kolors sono l'attualità sia per i gusti delle nuove generazioni, sia per la cultura mainstream grazie al loro successo nelle radio e nei live in Italia.
Shablo è l'artista che ha aperto un varco per la realtà hip-hop in Italia in un teatrino dalle dinamiche totalmente estranee. Brunori Sas la boccata d'ossigeno per tutti.
E infine - scusandoci con chi non è stato annoverato e categorizzato nelle righe sopra - ci sono i due che accontentano noi, intesi come community e come gruppo di persone dai gusti musicali alternativi: Lucio Corsi e Joan Thiele. Gli underdog, come un po' tutta la critica mainstream ha voluto battezzarli.

Se Joan Thiele fotografa molto bene la situazione di molti giovani italiani che per un motivo o per un altro si ritrovano ad affermarsi all'estero per poi tornare in Italia e raccogliere (ad anni di distanza) i risultati del loro lavoro e dei loro sacrifici (ha vinto nel 2023 il David di Donatello per la miglior canzone originale del film Ti mangio il cuore), Lucio Corsi rappresenta una moltitudine di artisti italiani che fanno animare club e locali di tutto l'Italia (noi vi avevamo raccontato qui del suo ultimo live all'Alcatraz di Milano). Tanto lavoro e tante sgomitate per ottenere la sua fettina di attenzione, farsi notare da Francesco Bianconi per avere il suo primo assaggio di celebrità al di fuori della nicchia e poi scegliere la provincia per l'energia latente. La sua sola presenza su un palco come Sanremo è una piccola vittoria per tutta la generazione di artisti indie e classificati come alternativi. Un po' come i 15 minuti di celebrità decantati da Andy Warhol.
La riflessione che scaturisce dal vedere apprezzato alla quasi-unanimità dal grande pubblico un artista come Lucio Corsi è la seguente: possibile che componga e pubblichi musica da 10 anni e solo ora la gente, perché ha avuto la possibilità di vederlo su un palco che più mainstream non si può, si alzi per applaudire ed incensarlo? Il punto, per evitare ogni tipo di polemica legata alla retorica della gelosia di chi ha gusti musicali alternativi, non è che la gente applauda, ma che lo faccia solo ora. Solo dopo aver ascoltato una bella canzone, una che arriva dopo altri 36 brani pubblicati nei suoi 4 precedenti dischi (e uno che uscirà a marzo) e senza distinguersi particolarmente dal suo abituale stile. Solo dopo essersi sorpresi perché suonava nel corso della seconda serata il pianoforte a gambe incrociate. Rinunciando quindi - volutamente - a parte dei pedali, per poi scattare in piedi ed imbracciare la chitarra pronta sullo stesso pianoforte per proseguire la canzone al centro del palco.

Il costrutto musicale su cui si basa Sanremo scricchiola sempre più, e così emergono le lacune di tutta l'industria discografica e insieme a lei quelle del pubblico e di tutti gli attori del mercato della musica stessa. C'è un che di tautologico nella stessa definizione del festival di Sanremo in quanto "festival della canzone italiana", con il dichiarato intento di rappresentare i gusti degli italiani e, di conseguenza, la produzione degli artisti.
La domanda a questo punto che ci si deve porre come riflessione personale e collettiva è: chi decide quali siano i gusti degli italiani? In un loop infinito simile a quello che coinvolge l'uovo e la gallina, quanto incidono le scelte di autori, produttori, etichette e radio sui gusti dell'ascoltatore medio?
Il Sole24Ore ha recentemente sottolineato come gli stessi 11 autori abbiano scritto o co-scritto 19 delle 30 canzoni in gara: 2 brani su 3 sono fattivamente quasi esclusivamente interpretati a Sanremo. Oltre a monopolizzare la scrittura dei brani ed escludere quindi nuove proposte, il segnale chiaro è quello di una sconfinata uniformità di domanda e offerta. Siamo sicuri che questo sia, nei fatti, il festival della canzone italiana? O è piuttosto uno show, una manifestazione ridotta a mero spettacolo in cui vince chi accontenta secondo particolari criteri il mainstream?
Il meccanismo già in atto appare quello di un mercato musicale al continuo ribasso, in cui l'ascolto facile e garantito permette ai fruitori di abbassare la guardia e disinteressarsi alla ricerca di una proposta più affine alle proprie esigenze attraverso un prodotto "normalizzato" e anestetizzato. Privo di ogni interpretazione personale e unica. Per quanto discusso, discutibile e controverso, il pensiero espresso da Morgan via social è almeno in parte condivisibile.
Poi Lucio Corsi arriva su quel palco, fa "semplicemente" il Lucio Corsi di sempre (le virgolette sono perché di semplice in realtà non c'è nulla in quella spinta di uniformità con il proprio personalissimo stile), canta la sua bella canzone e passa da uno strumento all'altro come chi ha lavorato davvero duramente per avere il suo spazio sa fare. E tutti sanno ancora stupirsi, applaudono, lo sostengono fino al secondo posto nella competizione delle cover.

Daniela Pes si è lasciata andare su Instagram ad un ringraziamento diretto allo stesso Lucio Corsi, come rappresentante di tutto quel sottobosco di artisti autori di sé stessi e in missione per riabituare le persone a capire cosa gli piace davvero. Ne avevamo parlato in passato con Ibisco, che con le atmosfere della sua Dentro, me avrebbe potuto tranquillamente candidarsi a Sanremo, convenendo sul fatto che le persone sono portate a scegliere prodotti pre-confezionati dalle grandi etichette. Più recentemente con Whitemary, che ha sottolineato l'importanza della musica vissuta dal vivo anche nei club e nei locali di piccole dimensioni, provocando anche l'industria musicale a non sottovalutare i gusti del pubblico italiano.
Discorsi simili li abbiamo sentiti da band straniere che qui sono emergenti, mentre all'estero hanno già una propria identità ben definita con un preciso pubblico a cui puntare e da salvaguardare senza per forza puntare alla vetta della classifica. Parliamo di bdrmm, Squid, ma anche Murder Capital.

Per chiudere con un riferimento abbastanza ironico, ma che fa davvero riflettere su quanto la questione sia attuale e su quanto venga presa sul serio, Lucio Corsi è stato attore nella serie prodotta da Amazon Una Vita Da Carlo, con protagonista Carlo Verdone. Il suo coinvolgimento arriva quando Verdone, interpretando sé stesso, viene incaricato di risollevare le sorti del Festival di Sanremo e per fare questo si rivolge proprio a Lucio Corsi.
Che sia davvero arrivato il momento di mettere in discussione l'attuale stato di salute del mercato della musica italiana? Quello in cui ci interroghiamo su cosa sia effettivamente importante sostenere? Su quanto sia giusto o meno ritagliarsi il proprio spazio per gli ascolti e la propria ricerca della musica ideale?
Il miglior insegnamento che si può trarre da questa situazione inaspettata è che avere spazio fa la differenza. Lucio Corsi che fa il Lucio Corsi davanti agli occhi di tanti e fa meravigliare il mainstream al suo apice è una boccata d'aria per le migliaia di Lucio Corsi che ci sono là fuori. A fare sacrifici per permettersi di registrare demo, dischi, singoli e avere anche la possibilità di esibirsi davanti a qualcuno. Dobbiamo tutti imparare a dare questa opportunità: muovendoci, spendendo tempo e qualche soldo per vedere le nuove proposte. Perché potremmo scoprire che là fuori qualcosa che ci piace c'è già e non dobbiamo aspettare che l'industria lo processi e lo impacchetti sotto il formato che preferisce.
