We Are Who We Are, firmata da Luca Guadagnino e trasmessa su Sky, la aspettavamo tutti da un po’ ed è arrivata come una possibilità in questo momento di impossibilità storica. I fan del regista di Suspiria e Call Me By Your Name riconosceranno l’empatia di una colonna sonora che, anche questa volta, protegge lo spettatore, lo fa sentire perfetto e compreso in un mondo che punta all’incertezza e all’inadeguatezza , un po’ come quello di Elio e Oliver (con la sublime soundtrack by Sufjan Stevens) e un po’ come il nostro mondo odierno.
Proprio come in Call Me By Your Name anche questa volta c’è un prescelto: Devonté Hynes, in arte Blood Orange, è una costante delle giornate di Fraser e Caitlin/Harper, che vivono nella base militare statunitense di Chioggia e di tutto quello che può voler significare vivere in un paese lontanissimo dal tuo quando sei adolescente e i dubbi sono le tue uniche sicurezze.
Ma c’è tanto altro.
FRA ITALIA E AMERICA: BEST OF BOTH WORLDS
Scardinare ogni schema già visto e ogni clichè è una delle cose che Guadagnino riesce a fare anche in questa opera e lo fa con un sottofondo altrettanto atipico, che acchiappa più generi musicali e spazia, come l’ambientazione della serie vuole, fra cultura italianissima vecchia e nuova e american style. Non rinuncia a nessuna delle due e la sua filmografia fin dagli albori può testimoniarlo. Il risultato è una fusione molto personale e delicata che esprime bene le differenze fra i due paesi, ma soprattutto i punti di contatto universali.
Italia e America si contaminano a vicenda e la musica è la porta d’ingresso all’episodio pilot: Devil In A New Dress dell’aspirante presidente Kanye West (curioso il fatto che la serie sia invece ambientata nell’estate 2016, pre- trionfo di Trump) ci da il benvenuto ma lascia subito spazio a Nessun Grado di Separazione di Francesca Michielin che sentiamo venir fuori dalle casse di un supermercato. Guadagnino omaggia poi le sue radici con A Lei di Anna Oxa: Fraser inizia a esplorare i dintorni con la sua fame da straniero e si imbatte in due abitanti locali, beve Tavernello e canta, si lascia trasportare dall’età che ha e dal posto in cui si trova senza alcuna consapevolezza, noi conosciamo meglio di lui il significato di quella canzone e di quel gesto e lo osserviamo mentre si sente invincibile.
L’Italia, con i suoi cartelloni pubblicitari riconoscibilissimi e le insegne illuminate, è lo sfondo dell’autostop in strada di Fraser e Caitlin/Harper con Kandida di Les Freres Parents che parte subito dopo aver urlato «WE DON’T EXISTTTTTTT!» e di quando si parla solo di inizi con Absolute Beginners di Bowie nella puntata finale.
È la locanda veneta in cui Fraser si ritrova a cantare I Want It That Way dei Backstreet Boys al karaoke, per poi finire coinvolto in un quasi threesome con tanto di House of Cards dei Radiohead.
È la spiaggia in cui si balla Self Control di Raf provando ad approcciare parlando italiano agli americani e inglese agli italiani e in cui il volume troppo alto impedirà ciò ma va bene così, è la piazza in cui vedrai ballare tua madre e il ragazzo che (forse) ti piace sulle note di At Last di Etta James.
È Oroscopo di Calcutta durante i viaggi in macchina, perché l’estate italiana del 2016 è andata assolutamente così.
Inoltre, se dovesse ricapitarmi di passare a Bologna nei prossimi mesi non potrò fare a meno di iniziare a cantare The Love We Make di Prince e ricordare una delle scene più pastello che conosca (sto parlando del finale).

AUTORIALITA’ ED ESTASI
C’è, poi, la musica del jazzista Kip Hanrahan con Real Time and Beautiful Scars che testimonia la nascita di un amore «scomodo» e con Aziz and Aziza nella scena in cui Fraser viene recuperato da ubriaco in strada dalla moglie della madre («Mother’s tears are too cheap and fail to cointain the real salt!»).
C’è quella di Klaus Nomi, artista tedesco synth-pop degli anni Ottanta poco conosciuto, ma iconico per artisti come Morrisey (per dirne uno). Nel primo episodio Fraser sembra essere in mezzo agli altri sugli spalti a cantare l’inno nazionale, ma è in realtà immerso nelle note di Just One Look, per l’ennesima volta a metà fra due circostanze, fra Caitlin/Harper, che osserva da un lato e Jonathan, dall’altro.
Il secondo episodio è ciclico: si apre con The Keys Of Life (The future has begun, Much work has to be done, You're running out of time, Beware the sign) nella scena in cui Fraser e Caitlin si trovano in barca e si chiude con degli sguardi teneri fra i due da una finestra all’altra mentre in sottofondo sentiamo Wasting My Time, un titolo emblematico col senno di poi. Eppure la canzone che probabilmente descrive meglio il loro rapporto è quella che si sente all’inizio del quinto episodio, Lightning Strikes:
Every boy wants a girl he can trust to the very end
Baby that's you, won't you stay? But 'till then
When I see lips begging to be kissed, I can't stop (stop) I can't stop myself

Dopo una buona dose di rap con Same Drugs di Chance the Rapper e OOOUUU della rapper Young M.A che Caitlin/Harper sta ovviamente ascoltando (nulla è casuale), dopo i pezzi inevitabilmente romantici presenti nel terzo episodio come Child Prodigy di Arto Lindsay e Come Close di Common, arriviamo al quarto episodio, un’estasi sensoriale a tutti gli effetti.
Già la scena di apertura, un lotta a base di frutta in una villa con piscina e una musica trionfale in sottofondo, è il presagio di una di QUELLE feste, che ha ufficialmente inizio con il tuffo a bomba di Fraser e Jump They Say del Duca Bianco.
Il dark side delle feste (o forse solo il momento di quiete apparente prima della vera e propria esplosione) è raccontato da Guadagnino tramite gli Smiths (The Night Has Opened My Eyes) e i Rolling Stones (Wild Horses, ma anche Let’s Spend The Night Together in altri episodi): Fraser ha gli occhi aperti solo metaforicamente mentre osserva Caitlin/Harper sul divano ed è poco lucido, euforico ma agonizzante, umano mentre si lascia poi accarezzare nonostante la confusione circostante e il party che continua a scintillare fra baci e sguardi.
Arrivano i CCCP – Fedeli Alla Linea e la loro Emilia Paranoica e arrivano anche i brividi. Promiscuità e libertà ballano su una base di incoscienza e ingenuità potenti, linfa per tutti loro. Colori, corpi e poi si abbassano le luci con Nikes di Frank Ocean:
Acid on me like the rain
Weed crumbles in the glitter
Rain, glitter
Infine tutto viene sciolto dalla voce di Britney (ovvero Francesca Scorsese, la figlia di Martin) che canta bellissimamente e suona al piano Soldier Of Love, dedicata un po’ a tutti e da Neil Young che ci riporta a uno dei temi della serie con Living With War. La festa è finita.

LA POTENZA EMOTIVA DELLA MUSICA DI BLOOD ORANGE
Avrebbe solo dovuto far parte della scena del concerto girata al Locomotiv di Bologna e rimanere Blood Orange l’artista, ma diventa per l’occasione semplicemente Devonté Hynes, il regista musicale della serie. La sua musica è intrinseca nel rapporto particolarissimo di Fraser e Caitlin/Harper, ne scandisce i momenti salienti, ritorna nelle puntate proprio perché è fondamentale. Si sussegue negli eventi e li sottolinea tramite tre brani fondamentali che sono un po’ l’essenza di We Are Who We Are: Champagne Coast, Time Will Tell e It Is What It Is.
Time will tell if you can figure this and work it out
No one's waiting for you anyway, so don't be stressed now
Even if it's something that you've kept your eye on
It is what it ise
Come into my bedroom
Queste parole compaiono in tutti e tre i brani, ogni volta che le sentiamo non siamo sicuri di quale si tratti delle tre, ma non è importante perché quello che conta è ascoltarle e capire che ci troviamo di fronte a uno di quei momenti speciali. La prima volta che sentiamo Champagne Coast, nel primo episodio, siamo in bici con Fraser, diviso come sempre fra le sue cuffiette e i rumori del mondo circostante. Questa trilogia musicale accompagnerà i protagonisti durante i pomeriggi intimi in camera, durante le loro trasformazioni, quando scopriranno la data del concerto e quando fuggiranno lì, su quel treno, canticchiando fronte a fronte, creando uno dei frame più d’impatto della serie. Li vediamo ballarci su completamente vestiti di bianco come se fossero in un videoclip musicale, li vediamo mentre la sentono in loop fino a quando anche Caitlin/Harper chiederà «ancora?» per sentirsi rispondere «mi piace il modo in cui lo dice» .
E quando finalmente i due si ritrovano il loro idolo davanti non sono insieme; si cercano fra la folla, increduli di sentire quelle parole dal vivo, ma ancora più increduli di non starle condividendo. Poi si ritrovano e il resto è spoiler.
We Are Who We Are ha la straordinaria abilità di stravolgere i testi delle canzoni, svincolarli dalle loro intenzioni metaforiche e applicarli letteralmente alle vicende, anche in maniera anche ironica e quasi assecondandole. Ogni canzone è una premonizione, un tassello che amplifica i significati o qualcosa che ci aiuta a cogliere quelli più profondi. La scelta dei brani è imprevedibile, varia, è lo specchio di un’esistenza possibile, una in mezzo a tante; siamo letteralmente chi siamo, certo, ma siamo liberi perché sappiamo di poter essere qualsiasi cosa.