15 giugno 2023

Devoti alla musica e ossessionati dalla creazione: sono tornati i Nation of Language, i discepoli dei synth

Un’arena vuota illuminata dai riflettori e con gli altoparlanti che rilanciano un brano pop anni Ottanta. Il suono rimbomba, la voce sembra distante anni luce, ma la musica si allarga comunque nello stomaco. Quando si pensa ai Nation of Language è questa la prima immagine che viene in mente. E ora che il trio di Brooklyn è tornato con i primi tre singoli estratti dal loro terzo album Strange Disciple, in uscita il prossimo 15 settembre, quella sensazione è ancora più tangibile. Lo sarà ancor più il 18 giugno, quando la band si esibirà al Lido di Camaiore (LU) nel primo weekend de La Prima Estate.

(C) Dominik Friess

Sole Obsession, da cui derivano il titolo e il concept del nuovo disco, riparte dai synth e dall’incedere contagioso del basso. Quello che colpisce però è il protagonista in copertina, il discepolo che proietta ombre inquietanti sul mood sognante della musica: «Abbiamo giocato con questa idea che quando diventi ossessionato o infatuato di qualcuno o qualcosa, questa dedizione occupa tutta la tua mente e ti rende sottomesso. C'è anche una sorta di natura religiosa in questa dedizione. Questo strano personaggio è talmente significativo per noi che abbiamo deciso di inserirlo nel videoclip della canzone. È un po’ inquietante e un po' strano. Credo che esista uno strange disciple dentro ognuno di noi. Siamo tutti soggetti a questo tipo di ossessione qualche volta» spiega Ian Richard Devaney, voce e mente della band.

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I Nation of Language hanno scritto il loro terzo lavoro tra la fine del lockdown e il loro tour europeo. Due scenari opposti che hanno influenzato la loro scrittura. L’immaginazione, stimolata dalla solitudine forzata durante la pandemia, ha incentivato e reso ancora più intensa la loro devozione nei confronti della musica. «Quando ho tempo libero mi piace andare in una libreria o in un negozio di dischi e notare la grande mole di opere che nel tempo alcuni artisti ci hanno donato. Vedere ciò mi fa venire voglia di creare abbastanza da poter avere anch’io una produzione artistica così longeva e corposa. – racconta Ian – La creazione è qualcosa a cui siamo devoti e ci guida costantemente. Non c'è niente che personalmente amo di più che trovare ispirazione per creare.  Ci sono così tante distrazioni nel mondo moderno che possono portarti lontano dal processo creativo che è difficile rimanere dedicati a volte. È per questo che a casa tengo sempre tutti gli strumenti pronti all’uso, in modo che appena possibile posso sedermi e iniziare a mettere giù le idee».

Per Ian il punto di partenza è sempre la musica. Una chitarra o una sequenza di accordi sulla tastiera che evochino immagini e sentimenti. Solo poi, una volta stabilita la struttura emozionale del brano, si passa alla scrittura del testo. Sebbene, come dichiarato dalla band, l’obiettivo è che ci sia un legame tra parole e suoni, spesso nelle canzoni dei Nation of Language si genera un piacevole contrasto tra la luminosità dei synth e i tratti oscuri dei versi. L’esempio più recente è il singolo Stumbling Still: kraut-rock danzereccio cucito iniseme dalla batteria elettronica e da un basso nel quale riecheggia la Manchester di fine anni ’70 – quella dei Magazine e dei Joy Division – corredato da un testo inquieto.

«Il primo album (Introduction, Presence, 2020) era un disco da ascoltare in macchina mentre si guida, invece, registrando il secondo (A Way Forward, 2021) pensavo che fosse più adatto a un viaggio in treno: molte delle canzoni hanno un’influenza krautrock che è un costante movimento in avanti» racconta Ian. Strange Disciple invece è nato camminando e si è nutrito delle sensazioni provate dalla band quando è tornata a suonare dal vivo: «Quando sei in tour non hai il tempo di esplorare o vedere davvero nulla della città che ti ospita. Hai al massimo due ore, o giù di lì, tra il soundcheck e quando inizia lo spettacolo. E quindi ti ritrovi a muoverti rapidamente nel quartiere più vicino, cercando di osservare il più possibile ciò che ti circonda, di vedere se c'è una caffetteria o un ristorante particolari. Insomma, qualcosa che può lasciarti una sensazione o un’emozione».

L’umanità, in tutta la propria intimità, è la cifra stilistica su cui misurare la musica dei Nation of Language: «Il terrore esistenziale è ciò che mi guida. Nel profondo poi c’è il desiderio di sentirsi compresi e di connettersi. Riuscire a creare un legame con gente che non conosci personalmente è anche il motivo per cui andare in tour è così bello. Ottenere energia dalle persone e vedere la loro eccitazione, ascoltare le loro storie, combinata con la semplice possibilità di viaggiare e vedere nuovi posti, entrambe queste cose insieme, ci hanno davvero stimolato e ci spingono a continuare a creare».

Quest’estate la band statunitense porterà di sicuro sul palco qualche anticipazione del nuovo album. La canzone preferita di Ian, Swimming in the Shallow Sea, è ancor inedita e chissà che non avremo la possibilità di ascoltarla al Parco BussolaDomani: «È un brano shoegaze sognante. Ci sono i delay di chitarra che si sposano con gli arpeggi di synth che abbiamo usato come struttura finora per gran parte della nostra musica. In questo senso credo che questa traccia guardi avanti. La nostra intenzione è sempre quella di abbinare qualcosa di nuovo ed eccitante e di riuscire a legarlo alle cose che abbiamo già fatto. È un’espansione continua, un modo per modo spingere i muri un po’ in là così da non sentirti mai confinato».

A proposito di futuro, dopo aver lavorato con il batterista degli Strokes Fabrizio Moretti nel collettivo synthpop machinegum, Ian sogna un giorno di poter collaborare con Weyes Blood: «L’ho vista esibirsi a New York non molto tempo fa. Un concerto incredibile, la sua voce è unica e diversa da tutto quello che si sente in giro». Insomma, il viaggio dei Nation of Language prosegue. Che sia in auto, in treno o piedi, noi ci faremo trasportare con piacere dal suono spazioso dei loro synth, in equilibrio sull’avanzare incessante delle note di basso, a bordo della voce nostalgica di Ian Devaney.

(C) Dominik Friess