In ogni cerchia di amici si possono sempre distinguere due diversi tipi di frequentatori dei ristoranti giapponesi: da un lato del ring, il combattente che accetta la sfida lanciata della nomenclatura stessa dell’all-you-can-eat come solenne dovere e, nell’angolo opposto, la sua immediata nemesi, lo stoico, il cultore della tecnica e tradizione millenaria del sushi, ispirato per puro caso in seguito ad una crisi di zapping su Netflix che lo portò a vedere i primi dieci minuti di un documentario sul cibo nipponico. Un’eterna incongruenza riassumibile nel classico dilemma della qualità contro la quantità. Allo stesso modo, quasi inutile a dirsi, possiamo ridurre gli artisti del panorama musicale in due schiere: c’è chi cerca per anni il sound perfetto e rilascia così un album solamente quando i pianeti si allineano e chi d’altro canto sforna cd a ripetizione come una catena di montaggio, macinando stili, influenze e idee al pari di ciotole di Cheerios durante le mattine di un ottobre qualsiasi.
In quest’ultima categoria ricade, senza alcun’ombra di dubbio, la band sotto esame oggi, gli Orinoka Crash Suite… ehm, no scusate, volevo dire gli OCS, cioè i Thee Oh Sees o ancora, come si fanno chiamare oggi al settimo cambio di nome, gli Osees. Ecco, ce l’abbiamo fatta.
Capisaldi storici della scena sperimentale punk misto garage, gli Osees vantano ben ventitré anni di presenza sul palco ed esattamente altrettanti album in studio, compreso il loro ultimo disco, Protean Threat, uscito la settimana scorsa e protagonista di questa recensione. Se ancora però non siete convinti del rapporto input-output di questi ragazzi, sappiate che a ottobre e novembre usciranno rispettivamente altri due loro album, quasi da chiedersi come facciano a trovare il tempo per scriverli. Ma torniamo al presente e a Protean Threat.
Chiunque segua il gruppo di San Francisco, sa bene che con loro non esiste un prototipo oppure una linea guida Osees-certificata capace di inquadrare le aspettative in vista di materiale nuovo. Non c’è mai alcuna traiettoria o schema precompilato da riempire, perché alla mole discografica viene costantemente aggiunto il carissimo fattore sorpresa, seppur comunque chiaramente limitato ai loro molteplici generi di riferimento. Infatti, neanche questa volta si son smentiti.

Protean Threat non è un disco, ma un’intelligenza artificiale costruita ad hoc con dettami di machine learning, per imporsi nelle playlist imparando da queste stesse. Funk, elettronica, garage e metal compongo quest’entità senziente, che pian piano sfugge di mano agli Osees fino a diventare una sorta di Skynet, ribelle ed in cerca del suo John Connor, l’elemento di convergenza, quel quid in più che alla lunga avrebbe potuto tenerla compatta e renderla molto più degna di nota.
Non a caso, ascoltando l’album, si ha la netta impressione di poter scindere il tutto in tre distinti momenti o fasi d’ascolto: una prima in cui gli Osees sferrano un deciso attacco sonoro con una combo di tracce veloci, incisive e pavoneggianti di una cyber matrice semplicemente punk, un secondo stadio, invece, in cui la simulazione fuori controllo crasha su stessa perdendo l’ascoltatore in tracce nettamente meno notevoli ed, infine, un reboot totale del sistema operativo la cui directory rimanda stranamente a delle fantastiche prese di coscienza rock di fine anni Settanta. Sì, urge una spiegazione leggermente più dettagliata.
Il disco si apre con Scramble Suit II, una sfrontata carpa di elettronica che salta tra le righe di codice fino a risalire la cascata per poi diventare un dragone di sonorità nella successiva Dreary Nonsense tra gli incalliti beat e versi di John Dwyer, placati in un secondo momento dal duo un po’ funky, un po’ sospetto, di Upbeat Ritual e Red Study.
Terminal Jape è però la traccia di questa prima tranche che vende l’album a scatola chiusa: pesanti sintetizzatori scandiscono il tempo imponendosi sopra la batteria, mentre asimmetriche chitarre sguinzagliano il ritornello afono in una cornice di contorno palesemente metal. Brano totale. Peccato che questo venga seguito da Wing Run, instrumental di intermezzo che purtroppo lascia il tempo che trova, e da Said The Shovel, a tratti fuori posto dopo un’ouverture così calcata.

I barlumi del ripristino di corrente si avranno solo con la nona canzone If I Had My Way, la prima a fare sfoggio della conclusiva ispirazione 70s, decisamente in contrasto col prologo digitale, ma in grado di suonare così bene che ogni critica si ridurrebbe in pratica a cercare il pelo nell’uovo. Quest’ultimo stile si espande nelle seguenti Gong of Catastrophe e Canopnr’ 74, dove l’influenza retrò punta gli occhi su atmosfere notturne e trainanti riff blues. Malgrado sembrino due diversi (e a loro modo simpatici) dischi appiccicati alla bene meglio in uno per non essere marcati come EP, il senso e la visione d’insieme degli Osees si riscopre solo nella conclusiva Persuaders Up!, la quale, giocando sui sound delle precedenti macro aree, ne riesce a ricavare una sintesi unica per designare il punto di arrivo finale di Protean Threat.

Tirando le somme e cercando di essere quanto più onesti possibile, l’ultima fatica degli Osees sembra di primo impatto il tipico caso, per dirla con un termine anglofono, di underdog tra i cd pre-autunnali, lo sfavorito nei pronostici, ossia l’ennesimo tassello dell’ampia discografia di una band con la propria personale visione artistica e destinato in via esclusiva alla nicchia che segue da anni il gruppo con assidua fedeltà. Eppure, sebbene il disco di per sé non sia coeso da un’unica fonte ispiratrice e in certi momenti circoscriva l’ascolto su pezzi un po’ forzati, il risultato è sorprendentemente e semplicemente divertente da ascoltare e da scoprire, al punto che la recensione stessa ne diventa uno spoiler. Avranno pur fatto ventitré album in ventitré anni, ma comunque gli Osees compongono con la stessa grinta, passione ed espressività di quando erano appunto ventenni, mantenendo viva l’essenza sperimentale garage-punk alternativa che li contraddistingue(va) e dipingendo, nonostante ciò, un sound al passo coi tempi. Protean Threat ne è solo la prova.
We, Osees o come vi chiamerete tra qualche settimana, ci si vede allora il prossimo mese con il disco numero ventiquattro?
