Se anche in Italia si sta vivendo una fase di attenzione crescente nei confronti dell'elettronica, non lo si deve solamente alla fisiologica emulazione delle tendenze straniere. Questo perché ci sono artiste come Whitemary che, in continua crescita, trovano il modo e le forze per lottare per il proprio status e per tutto il movimento.
Dopo aver pubblicato il nuovo disco NEW BIANCHINI ed essere partita per il tour italiano (sold out la prima data a Bologna), l'artista abruzzese è alle prese con un vero e proprio cambio di dimensione tra un disco introspettivo e denso ed una crescente presa di coscienza del panorama musicale italiano.
Per farci raccontare come se la stia passando, siamo tornati ad intervistarla e fase due chiacchiere su NEW BIANCHINI, sul tour, sull'elettronica e su altre tante cose interessanti.

Dicci prima di tutto come ti senti dopo l’apertura sold out di questo nuovo tour e le due che ti aspettano a Roma il 6 e 7 febbraio.
Benone! È una bella emozione, sono i primi live consistenti in un certo senso, parliamo di un’ora e venti, un’ora e mezza. Questo è un grande stimolo, ma al tempo stesso mi costringe per la prima volta alla scelta, visto che in un concerto di questa lunghezza puoi spaziare ben oltre quella che è la promozione del disco in sé e attingere a ciò che c’è stato prima. Cosa che ovviamente quando sei all’inizio non accade, perché hai un repertorio più limitato e sai già cosa spingere soprattutto nei live che agli inizi possono essere le aperture per altri artisti. Il fatto di pescare dal passato poi è una bella sfida perché ti permette di re-interpretare. Nel mio caso ci sono diversi brani passati che ho ripreso e che ho riarrangiato con la band per farli combaciare con il nuovo disco. È un live per me nuovo e diverso rispetto a quello a cui ero abituata.
Diverso in che termini?
Ci sono due batterie che suonano live con me, i miei synth sono tutti disposti sul palco verso il pubblico in modo che le persone possano vedere tutto quello che succede sul palco. Questa cosa mi sta piacendo perché sembra aiutare a creare un ambiente unico, senza separare chi sta sul palco da chi ci sta sotto. Molto emozionante!
Questo aspetto della partecipazione e apertura verso il pubblico trova anche conferma nella scelta degli artisti che ti accompagneranno in questo tour.
Ci sarà Marie Davidson, ci sarà il collettivo Poche, ci sarà Clap! Clap!. Diciamo che la parte compositiva è sempre di stampo Whitemary da sola ed è anche vero che queste sono le prime date in cui sono veramente io al centro dell’attenzione rispetto magari ai festival in cui ho sempre suonato. Questo mi ha dato modo, laddove ce ne fosse la possibilità, di pensare anche a tutto il contorno del live. Mantis l’ho voluta fortemente perché nella scena romana è tra i personaggi di spicco e perché mi piace la sua quota creativa, anche proprio nella scelta dei brani di generi molto diversi che la portano a fare set molto personali. Inoltre porta avanti, attraverso il collettivo Odd e l’etichetta Reveries, una parte di elettronica che mi piace molto. Realtà che aiutano a far crescere un giro di ascolto per una determinata nicchia musicale. Lei mi sembrava perfetta. Musica Machina è un’altra realtà, se vogliamo di un’altra epoca viste le loro radici negli anni ‘90, fondamentale per l’elettronica attraverso il loro contributo su Radio Onda Rossa e quindi a Roma ci sarà il dj set di uno di loro (H105L, ndr). Con Marie Davidson prende forma questa specie di doppia data a Roma che per me ha un significato molto personale. Le scrissi ad inizio decennio quando iniziai a suonare come Whitemary, dicendole che apprezzavo tantissimo quello che faceva e lei mi rispose facendomi l’in bocca al lupo: un aiuto visto che era il mio primo concerto.
Passando al tuo nuovo disco, mi piace sempre partire chiedendo ai diretti interessati di presentare il proprio disco senza spunti esterni. Come racconteresti NEW BIANCHINI?
Lo descriverei come un viaggio immersivo, un disco molto personale che lascia però spazio all’ascoltatore di partecipare e di conseguenza condividere, in un certo senso, come dicevamo poco fa. Non è immediato e quindi la parte musicale serve ad accompagnare e introdurre chi ascolta in questo mondo di riflessione. I testi sono un po’ più sviluppati rispetto a quello che magari avevo scritto finora.
A questo proposito al centro del disco si trovano MI NASCONDO e DITEDIME che sembrano i messaggi un po’ più diretti e in un certo senso in disaccordo.
Esatto! Da un lato c’è l’iper esposizione, nell’altro il rifugiarsi e il vergognarsi: diametralmente opposte, ma fasi che inevitabilmente si vivono e fuggirne è possibile fino ad un certo punto.

Quindi si parla di cose che hai vissuto sulla tua pelle o l’intento è quello di generalizzare il messaggio?
Sono cose che fanno sempre parte di esperienze personali, mie o di persone a me molto vicine che mi danno modo di riflettere su determinate esperienze. Molte cose in realtà mi rendo conto che le collego a me molto dopo: le scrivo ancora prima di metabolizzarle e interiorizzarle.
Per quanto riguarda le influenze c’è qualche genere o artista che ti senti di riconoscere all’interno del disco? Sia come citazione voluta, sia come specchio dei tuoi ascolti.
In questo fatico un po’ a dare una risposta certa. Radio Whitemary era molto più legato alle reference: per ogni pezzo sono quasi sempre partita con un brano di riferimento, anche se poi magari prendeva tutt’altra forma. NEW BIANCHINI invece lo sento slegatissimo da tutto il resto. In Denso, se vogliamo fare un esempio, un’influenza è sicuramente Ross For Friends, che abbiamo ascoltato tanto proprio nel periodo in cui abbiamo registrato il pezzo con Emanuele Triglia anche proprio per sfruttarne gli aspetti riusciti sulla produzione. Se invece spostiamo il focus sul cantato e sull’effetto prodotto dal pezzo disco, dico Totally Enormous Exctinct Dinosaurs.
Ho letto da alcune interviste recenti che ti definisci una “cupa e malinconica”. Confermi che sia lo spirito del disco?
In realtà no. Nell’atto pratico non lo sono e non lo è stato il disco. Se ci concentriamo invece sul livello personale a cui è stato scritto allora lo è e quindi il disco assume il tono di un viaggio introspettivo malinconico e molto franco. La dimensione del live in questo senso è fondamentale per dare il giusto peso e tono ai pensieri. Vivere collettivamente determinate situazioni per normalizzarle: affronto così anche la vita reale.
So che nel tuo mondo sintetico o digitale, di suoni elettronici, c’è spazio per l’analogico visto che sei solita appuntare tutto su taccuini appositi. È un binomio interessante.
Sono effettivamente molto analogica, mi piacciono le attività in cui è richiesta un po’ di manualità: basti pensare che le corna che indosso nella copertina del disco me le sono preparate da sola all’uncinetto, insieme a parte dei costumi che la band usa nei live. Anche le grafiche di alcune date le ho preparate personalmente e una volta ad un concerto a Roma abbiamo stampato con il linoleum magliette bianche portate dai fan prima del concerto. La componente analogica è fondamentale e nella musica mi piacciono infatti molto più i synth rispetto ai virtual instruments: non boccio la composizione digitale, ma sono due diversi modi di operare.

Questo ci porta direttamente a parlare di uno dei temi di maggiore attualità: l’intelligenza artificiale.
Parliamo di una cosa a cui non sono particolarmente avvezza, ma non contro. Sarebbe limitante e stupido al giorno d’oggi essere prevenuti verso una tecnologia così potente. Devo però capire come potrei usarla e quindi al momento non la considero. anche perché temo molto di impigrirmi.
Pensi sia un rischio effettivo per il tuo lavoro e in generale per gli artisti?
Direi di no, ma fare una previsione è complicato. Potrebbe essere pericoloso come inizialmente dovevano/potevano sembrarlo Napster e tutte le piattaforme di streaming, ma c’è un fattore di cui ci si dimentica sempre in queste argomentazioni: l’interesse del fruitore, quanto il pubblico sia attento a determinate cose. Non penso sarà determinante sul nostro lavoro perché ci sarà una netta distinzione preventiva tra chi la usa e che non la usa. Speriamo di non ritrovarci tra 5 anni e scoprire che queste dichiarazioni sono invecchiate malissimo (risata, ndr)! Un esempio banale possono essere quelli che guardano Netflix ma vanno abitualmente al cinema.
Un altro modo per capire meglio questo discorso potrebbe essere quello di un discografico X che produce un cantante di Sanremo e deve spingerlo sulle radio main per farlo arrivare a più gente possibile. L’intelligenza artificiale si presta benissimo perché il mondo è già sufficientemente algoritmico da inglobare questa nuova abitudine.
Da qualche anno sembra che l’elettronica in Italia si un movimento in crescita sia come proposta, sia come abitudini del pubblico. Oltre a te di cui si parla già da diversi anni, nel giro di poco tempo hanno fatto breccia Daniela Pes e okgiorgio. Persino ad X Factor 2023 ha vinto SaraFine, che sfruttava basi elettroniche autoprodotte per poi sfoderare la sua (bella) voce.
Daniela Pes arriva da un disco cantato in una lingua personale e prodotto secondo precisi standard sonori e strutturali: tutto così fuori dagli schemi convenzionali di vendita. Penso che se si sono lanciati in un progetto simile lo hanno fatto come me per esigenza personale, per gusto e poi per il percorso che uno vede configurarsi a mano a mano. La domanda che bisogna farsi è perché queste formule possono funzionare in Italia e io questa risposta me la sono già data da un po’: il pubblico in Italia è molto sottovalutato. C’è tanta gente che mostra un’attenzione alla scelta e all’ascolto molto più alta di quello che mediamente si pensa. Quello che manca è la considerazione sul mercato della diversità e la stessa necessità di una diversità, e questa cosa si riflette anche sul mercato discografico/musicale, oltre che sociale. Il rischio è quello di appiattire forzatamente il gusto e la mente degli ascoltatori per cui determinate scelte vengono spacciate come loro esigenza. Io non credo sia così, anzi, e il fatto che questi progetti funzionino ne è la prova, insieme al fatto che la gente viene a vedere live come il mio, si diverte e ascolta cose che non conoscono. Quando questa estate ho presentato i brani live ancora prima del disco, la gente è venuta ad ascoltare pur senza conoscere mezzo pezzo: significa quindi che anche la curiosità dell’ascoltatore viene sottovalutata. Questi progetti funzionano perché secondo me ce n’è bisogno effettivo.
Lottare per le minoranze musicali e per dare spazio a tutti i generi e a tutti i gusti. È bello che ci siano artisti che vogliano combattere questa battaglia.
Ce n’è bisogno e le prove di questa necessità sono diverse. Basti pensare a quanti italiani acquistano i biglietti per il Primavera Sound, il cui spirito, al netto di qualche nome grosso, è proprio quello di andare a vedersi musica che non si conosce per poi tornare a casa con un nuovo bagaglio musicale. La situazione festival in Italia in estate in qualche modo si salva con realtà che si stanno affermando come Poplar e Spring Attitude, ma il vero problema è l’inverno (ride, ndr).
C’è bisogno di club e di viverli!
Eh sì, spazi piccoli, 100, 150 o 200 persone, in cui il pubblico possa creare una propria identità e una propria rete in un ambiente in un certo senso protetto in cui c’è un continuo scambio con il pubblico stesso che suggerisce di cosa ci sarebbe bisogno. All’estero purtroppo queste cose ci sono e funzionano meglio grazie alle maggiori sovvenzioni statali. Qui per i localari è sempre più complicato, ma ci sarebbe bisogno davvero di una rete attiva.
Seguendo questa descrizione che tracci non posso che pensare a Officina Meca di Ferrara, la mia città natale.
Ci ho suonato! Ecco, quella è esattamente la piccola realtà a cui mi riferisco. Ricordo con tutto il mio cuore quando suonai in questo club: si percepiva che è un progetto comune tra chi lo gestisce e chi lo frequenta. Chi viene a spendere 5 o 10 euro, e il prezzo dei biglietti sarebbe un’altra grande battaglia da combattere,fa per sostenere una comunità simbiotica di domanda (pubblico) e offerta (localari e artisti)”.
E della tua città natale invece cosa mi racconti?
L’Aquila ha sempre avuto grandi problemi di ‘posti’: ci ho suonato tanto, ma si finiva sempre nei pub dove si fa tanto jazz, tanto blues o tanto rock. Ho visto che al Bliss, una discoteca, suoneranno presto i Dov’è Liana, ma la storia dice che locali di questo tipo facevano come una cometa: apertura, affluenza per qualche mese, offerta piatta e commerciale, il pubblico si stufa, chiusura. Un vero peccato è che, in un contesto comunque non facile ancora alle prese con diverse ferite del terremoto del 2009, non ci sia modo di fruire dell’Auditorium di Renzo Piano in determinati momenti in cui non c’è altra offerta come scenario di eventi per gente più giovane di cui possono avere bisogno, a partire dalla stand-up e fino a offerte musicali non convenzionali. Posti come Polarville, un negozio di dischi in cui sono stata cresciuta musicalmente: fondamentali. Lo spirito di provincia di città come L’Aquila e Ferrara, ma come ce ne sono a decine in Italia, andrebbe esaltato per la voglia di fare che in città di maggiori dimensioni si sognano.
