E quindi Silent Alarm compie 20 anni. Già, era il 14 febbraio 2005 quando ci svegliammo con il primo album dei Bloc Party, in ritardo di dodici giorni rispetto al Giappone ma con un soddisfacente anticipo di una quarantina di giorni rispetto agli States. Questa informazione, tutto sommato superflua, da sola rende l’idea di come le cose siano cambiate da vent’anni a questa parte: sicuramente nella pubblicazione della musica, con le sue migliaia di releases sincronizzate in tutto il mondo ogni venerdì, figuriamoci per quanto riguarda tutto il resto. Giusto per dare un’altra idea, il giorno dopo (15/02/2005) andava online un certo sito di nome YouTube.
Respirone, prendiamone atto, e andiamo avanti.

I Bloc Party non arrivarono al debutto da completi esordienti. Anzi, a dire il vero avevano già qualche occhio puntato addosso, vuoi per la manciata di demo e singoli che cominciarono a girare tra il 2002 e il 2003 sotto vari nomi (prima Diet, poi Union); vuoi perché vennero prima notati e poi invitati a suonare ad una live session per BBC Radio 1 dal DJ e giornalista Steve Lamacq. In ultima analisi, perché ci piace pensare che un gruppo così non avrebbe potuto rimanere nascosto a lungo: parliamo comunque dei primi anni 2000, quando il terreno dimostrava di essere fertile da entrambi i lati dell’Atlantico, con gli esordi di gruppi quali Arctic Monkeys e Strokes, Libertines e Interpol, Franz Ferdinand e innumerevoli altri che avrebbero portato in auge un termine destinato a essere poi modulato, inflazionato, confuso e talvolta rovinato: “indie rock”.
Già nell’omonimo Bloc Party EP (2004) erano presenti le caratteristiche che avrebbero portato il quartetto guidato da Kele Okereke a muoversi su binari forse paralleli, ma sicuramente differenti dalle altre band coeve: una batteria non ancora davanti al mix ma già motore e timone della barca, chitarre tanto acute da tagliare, e un cantato appassionato eppure freddo, quasi annoiato, spersonalizzato, mentre illustra paesaggi e personaggi protagonisti di passioni tossiche e ansie esistenziali. Pitchfork, recensendo l’EP, dirà:
“Abbiamo davvero bisogno di altri feticisti del post punk? Se stanno sul pezzo in questa maniera, sì. [...] Una macchina dall’equilibrio perfetto, dove energia ossessiva, ritmi peristaltici, impeccabili cambi d’intensità e di tempo, e slogan accorati raggiungono un equilibrio pulsante”

Avanti veloce, ed eccoci all’estate 2004. La band si trova per poco più di venti giorni a Copenhagen con Paul Epworth (sì, il Paul Epworth che poi avrebbe svoltato con Adele, solo per nominare la collaborazione più eclatante) per registrare Silent Alarm, poi completato a Londra per le incisioni della voce.
La band è abituata ad un approccio live e la struttura dei pezzi, per quanto esistente, è ancora incompleta. Epworth, invece, vuole registrare sezione ritmica e chitarre in momenti diversi, da una parte per preservare la pulizia di basso e batteria, entrambi valorizzati e messi - con una scelta piuttosto inusuale per un genere ancora dominato da voci e chitarre - in cima al mix; dall’altra per lasciare alle stesse chitarre lo spazio per improvvisare e sperimentare.
Su una cosa però sono tutti d’accordo: riprodurre “una rappresentazione audio ottimale” che rimandi all’atmosfera dei club, profondità sonica e la spazialità tipica di certi lavori techno-house. Aggiungiamo la completa libertà di esplorare con l’effettistica per le chitarre, ed ecco la ricetta perfetta (almeno dal punto di vista musicale) che ha reso Silent Alarm ciò che è.
Like Eating Glass è già un indice affidabile di quello che saranno i quasi 59 minuti di album. Un crescendo dall’attitudine live, con basso e chitarra a far vibrare le rispettive corde per aprire la strada al drumming quadrato e angolare di Matt Tong, l’effetto stile warping sulle chitarra che a sua volta lascia spazio alla voce, sostenuta da un’intricata linea di basso. E poi, quell’apertura, quella maledetta apertura del ritornello: senza dover ricorrere a muri di suono di sorta, ma serrando le fila e andando dritti, per la prima volta i quattro strumenti sembrano alzare gli occhi verso lo stesso punto dell’orizzonte, creando un senso di rilascio e distensione raro e prezioso, presto interrotto da nuovi angoli, scalini, frenate e ripartenze, che poi sono il marchio di fabbrica di questo disco.
È ironico che il senso di distensione del ritornello coincida con una delle immagini più dure (e più famose) dell’intero disco:
“Like drinking poison, like eating glass”
rappresentazione fredda e scura di un sentimento che è stanchezza e paura, consapevolezza e rassegnazione.

Difficile immaginare la percezione di Okereke quando dichiarò che vedeva Silent Alarm come un album “in technicolor”: a partire dalla stessa copertina, continuando per il sound e finendo con il grigio immaginario di cui sopra, l’esordio dei Bloc Party è tutto fuorché colorato. Che siano le ritmiche up-tempo di Banquet o l’ossessivo incastro di chitarre di Helicopter, o anche i momenti di distensione offerti da pezzi come Blue Light o This Modern Love, non c’è un episodio del disco che non contenga una predominanza di ansia, personale e sociale.
Lo spleen post-adolescenziale riversato nei testi è crudo e ficcante, il linguaggio acuto e “adulto” sia per il punto di vista che per la concretezza. I testi di Okereke si spostano in modo naturale e scorrevole lungo l’asse “io/tu/noi due/noi tutti”, rendendo l’ascolto di Silent Alarm un vero e proprio viaggio in bianco e nero attraverso le sfere relazionali e sociali dell’essere umano. Brani come So Here We Are o Helicopter raccontano esperienze o sensazioni profondamente personali; mentre Luno è un esempio di monologo rivolto ad un “tu” in difficoltà. Ancora, This Modern Love e Blue Light sono momenti riferiti e contenuti in un concetto di coppia, mentre The Pioneers e The Price of Gasoline (originariamente The Price of Gas) si spingono convintamente verso la critica e la riflessione socio-politica.
È questa mobilità della prospettiva un altro dei punti di forza di Silent Alarm, un album che ancora risuona prepotentemente oggi: a distanza di vent’anni, i temi trattati non sono scomparsi, né sono meno attuali o preoccupanti e presenti nella vita di tutti i giorni. Forse si sono evoluti, talvolta nella forma o nei modi in cui arrivano a manifestarsi, ma è innegabile che conflitti politici, violenza, ansia generazionale, senso di crisi personale e interpersonale, insicurezza e paura ci riguardino tutti da vicino, oggi come per un poco più che ventenne nel 2005, che di questi argomenti ne faceva un disco. Riuscire a fare proprie queste tematiche pur rimanendo non solo accessibile ma anche appetibile per il mainstream (l’album esordì al terzo posto in classifica nel Regno Unito e vi rimase per quindici settimane) fu per i Bloc Party un capolavoro nel capolavoro, la cui influenza musicale e non si ripercuote fieramente ancora oggi.

A partire da This Is Why (2023), ultima fatica dei Paramore, direttamente influenzato dai Bloc Party e in particolare da Silent Alarm (parola di Hayley Williams), l’influenza della band si può ritrovare in diversi altri progetti: solo per citare gli esempi più eclatanti, And I Smoke degli Hot Mulligan deve molto, anzi moltissimo, a Helicopter, come sottolineato da questo utente Reddit, dandomi tra l’altro un discreto assist per sottolineare una sfumatura importante di Silent Alarm, e cioè la vena a tutti gli effetti emo conferita dai testi: dimostrazione di come un certo tipo di sensibilità sia trasversale e in questo caso slegata da come suona un gruppo. Al contrario, che una band definibile emo-punk come gli Hot Mulligan abbia tratto ispirazione dai Bloc Party dimostra come un lavoro del calibro di Silent Alarm trascenda i generi e possa essere ritrovato, seppur a piccole dosi, nel sound di band apparentemente molto distanti dalla fonte.
Volendo restringere ulteriormente il cerchio, impossibile non citare l’influenza dei nostri su band come i Sorry per la commistione di elementi dance, indie-rock e punk; sugli Yard Act (e in particolare su The Overload) invece dal punto di vista della critica socio-politica, oltre che per quanto riguarda il sound delle chitarre (idem per gli Everything Everything, che hanno integrato le suggestioni chitarristiche dei Bloc Party con un sound sempre più elettronico); mentre Willow e Genesis Owusu portano avanti la lezione di Okereke sul songwriting e le progressioni di chitarra. Senza dimenticareKennyHoopla, grande fan del gruppo e autore di pezzi come how will I rest in peace if I’m buried by a highway?, dove l’influenza dei Bloc Party è talmente evidente da non aver bisogno di essere spiegata.
E quindi sono davvero 20 anni di Silent Alarm. Vale la pena ripeterlo, e non per mera retorica: ci sono tanti anniversari che pian piano perdono di appeal, tanti album che perdono aderenza con l’attualità, a maggior ragione da quando il ritmo del progredire umano sembra muoversi a velocità 2x. Nell’anno di grazia 2025 possiamo affermare che invece Silent Alarm resiste, ancora ben saldo all’attualità e alla realtà che ci circonda.
Un album apparentemente austero, da esplorare con pazienza e attenzione. Un album rilevante, che dopo vent’anni ancora ci sfida a trovarne i colori nascosti sotto spessi strati di bianco e di nero. Come se fosse un difetto.
